«La danza? Una lezione sulla vita e sulla libertà»

Sarà quel volto spigoloso, dai tratti arabeggianti, che sprigiona un’aura esoterica e sensuale; saranno le lunghissime linee del corpo, sottile e atletico, che si piegano a qualunque forma espressiva. Luciana Savignano è sempre stata una danzatrice fuori dagli schemi. Nata alla Scala, culla della danza classico-accademica, ha scelto di seguire un’altra strada, quella dei grandi coreografi contemporanei: Béjart, Pistoni, Petit, Ailey. Spogliata del romantico tutù a tulle, ha interpretato le nuove «eroine» del Novecento: dalla seduttrice del «Bolero» di Bejart a «La bisbetica domata» di Cranko, dalla prostituta de «Il mandarino meraviglioso» di Pistoni alla dea Fortuna nei «Carmina Burana». Oggi, dopo quasi 50 anni vissuti da protagonista nei maggiori teatri del mondo, la musa ispiratrice di Béjart si racconterà al pubblico all’Università degli Studi di Milano (via Festa del Perdono ore 18.30) nella lezione-intervista condotta dalla docente Marinella Guatterini nell’ambito del corso organizzato dall’onlus Italia Nostra. «Più che una lezione sarà un incontro: una conversazione sulla danza, a partire dal mio percorso artistico».
Un percorso che ha definito faticoso e solitario: da étoile della Scala a vestale dell’«altra» danza.
«Lo è stato infatti, ma per scelta. Per me la danza non è un lavoro, ma un bisogno primario di espressione dell’anima. Il passaggio al contemporaneo è stato un’evoluzione naturale per esprimere me stessa».
Oggi la danza sempre più mescola i propri codici con il teatro, il video, le arti visive. Si può parlare di «arte totale»?
«È quello che ho sempre auspicato. Uno dei precursori del teatro-danza è stato Bejart, più di vent’anni fa: nelle sue coreografie c’era il parlato, il recitato, il cantato. La danza va in questa direzione: verso un modo libero e liberatorio di esprimersi».
Ha lavorato con i più grandi coreografi del mondo: eppure, a un’ambiziosa carriera internazionale ha preferito il familiare calore della Scala, a Milano.
«La verità è che non ho mai voluto rinunciare agli affetti. Ma non sono pentita: l’artista è prima di tutto un essere umano».
Quando la rivedremo danzare sul palco?
«Mi sono appena esibita alla Scala. Nei prossimi giorni sarò a Novara, Mantova, Bologna. Alla mia età posso finalmente permettermi di fare quello che mi piace, quando e se mi va».
A questo proposito, ha suscitato scalpore la scelta di partecipare, nel ruolo di insegnante, al talent show di Rai2 «Academy». La rifarebbe?
«Eccome, è un’esperienza che ha arricchito me, e spero anche i miei ragazzi. Non ci si può sempre vestire firmati: basta che l’abito sia di buona fattura».
La danza riempie i teatri, affolla le sale da ballo, impenna l’auditel di programmi come «Amici» o «Ballando con le stelle». Come si spiega questa «febbre danzerina»?
«Era ora! È un segnale positivo, ancora più evidente nel contemporaneo, che meglio rispecchia il linguaggio dei giovani, il loro modo di rapportarsi alla vita».


E ai giovani che vogliono seguire la sua strada, cosa consiglia?
«Di intraprenderla con la mente libera. Danzare non significa eseguire bene un passo: è un coinvolgimento totale, del corpo e dell’anima. Richiede sacrificio, disciplina, ma è anche una forma di libertà. Ti fa vivere il mondo in maniera più leggera».

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