Secondo lOsservatorio Nautico Nazionale lindotto generato dalle sole barche stanziali (escluso il transito), nei marina turistici (circa il 25% del totale dei posti barca italiani) ogni anno ammonta a 1,200 miliardi di euro. Includendo gli ormeggi gestiti nei porti e darsene pubbliche, quelli alle foci dei fiumi, i circoli privati, i club velici e Leghe Navali, lindotto complessivo stimato è di 4 miliardi. Il rilancio della nautica e lo sviluppo delle economie costiere passano inevitabilmente da queste strutture demaniali, ora di competenza regionale. Secondo il Censis, infatti, ogni quattro barche si genera un posto di lavoro nellindotto e qualunque studio economico dimostra come i beni demaniali marittimi destinati alla nautica da diporto offrano il miglior moltiplicatore delloccupazione.
Eppure proprio queste strutture rischiano di rimanere stritolate dalla concomitanza di una serie di circostanze che vanno dallultima Finanziaria del governo Prodi alle nuove norme Ue sulle procedure di rilascio delle concessioni, passando per la perversa filosofia che vuole i porti assimilabili agli stabilimenti balneari. Attualmente porti e approdi turistici soffrono dellaumento indiscriminato dei canoni demaniali - fino a 10 volte - fissato dalla Finanziaria 2007 e applicato anche alle concessioni in corso, facendo saltare i business plan delle imprese.
La situazione è aggravata dal fatto che il trasferimento della competenza sul demanio alle Regioni è avvenuta in assenza di norme quadro, lindicazione di requisiti minimi comuni o quanto meno di un coordinamento fra le Regioni stesse. Va tenuto presente, infatti, che ci sono delle condizioni necessarie al di sotto delle quali linvestimento in strutture portuali non viene remunerato; se le concessioni vengono rilasciate al di sotto di alcuni parametri minimi rischiano di richiamare solo operazioni di dubbia liceità. Viceversa la forte disparità di trattamento attuata dalle Regioni - in ordine alla durata della concessione - finisce per attirare i capitali laddove cè remunerazione e non dove cè grande domanda di posti barca.
«Per questo dice Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina-Confindustria Nautica - è necessario individuare con governo e Regioni norme minime comuni che consentano di dare un quadro di riferimento al settore». Di qui un forte appello al ministro Raffaele Fitto affinché, dopo limportante lavoro di mediazione portato avanti a favore degli stabilimenti balneari, convochi al più presto un tavolo per adottare unintesa Stato-regioni anche in tema di portualità: «Lintesa che la conferenza Stato-Regioni si appresta ad adottare in materia di concessioni balneari contiene in questo senso alcuni principi di indubbio interesse - aggiunge Albertoni - ma bisogna stabilire chiaramente che non ha ad oggetto le strutture portuali di cui ai commi 1 e 2 dellart. 1 del Dpr 2 dicembre 1997 n. 509 (il c.d. decreto Burlando) per evitare strumentalizzazioni in fase applicativa o giurisprudenziale».
Ma questo è solo uno dei nodi che affliggono i porti. Sia il ddl di riforma della legge 84/94, sia il ddl semplificazione (Brunetta-Calderoli) contengono una norma quanto mai necessaria di cui Ucina-Confindustria Nautica chiede la rapida adozione (i pontili galleggianti dedicati al diporto non necessitano di ulteriori titoli abilitativi edilizi oltre alla concessione demaniale. E dimostrato, tra laltro, che la riconversione dei porti commerciali dismessi o sotto utilizzati, ha rappresentato la rinascita di porzioni di centri storici di diverse città costiere, ma anche delle loro economie, come testimoniano i casi di Barcellona e Genova.
Infine, ma non meno importante, cè il tema dei porti a secco (dry storage).
Ieri il ministro Fitto era a Bruxelles per per verificare in sede Uequali sono gli spazi di manovra per meglio affrontare il tema delle concessioni demaniali.
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