«Il dialogo sul nucleare non si deve fermare»

«Nuovi negoziati sul nucleare sono possibili. Noi siamo pronti, ma i governi occidentali vogliono vedere come si stabilizzerà la situazione in Iran». Javier Solana, il rappresentante della politica Estera dell’Unione europea. Solana, è l’uomo chiave dell’Europa nelle trattative per ora congelate sul nucleare iraniano, dei cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. A Corfù si riuniranno oggi i ministri degli Esteri dell’Ue, che parleranno della crisi iraniana. Sul tavolo ci sarà anche la spinosa questione delle richieste di visti da parte degli oppositori che vogliono lasciare il Paese. In questa intervista al Giornale Solana, parla a tutto campo: dal delicato dossier iraniano all’incubo nucleare della Corea del Nord, passando per le trattative con i talebani afghani.
Non pensa che l’Europa avrebbe dovuto fare di più relativamente alla crisi in Iran?
«Penso che l’Europa abbia fatto molto condannando quello che andava condannato (l’uso della forza contro i manifestanti che contestano l’elezione di Mahmoud Ahmadinejad, nda). Abbiamo cercato di dare il nostro supporto, ma non possiamo fare molto di più. Ora dobbiamo monitorare come si svilupperà la situazione».
E l’idea di «aprire» le ambasciate europee agli iraniani che temono la repressione?
«Gli ambasciatori, che abbiamo consultato e le sedi diplomatiche a Teheran stanno operando in maniera trasparente, ma non possiamo organizzare una cosa del genere in pochi giorni a livello comunitario. Se ci sono dei casi di richiesta di visti per timore della repressione la decisione politica spetta ai singoli Stati».
Il G8 di Trieste ha dichiarato che la mano tesa nei confronti dell’Iran sul dossier nucleare, non sarà per sempre. C’è una data finale per le trattative?
«Neppure prima del G8 abbiamo mai detto che il negoziato andrà avanti senza limiti di tempo. La trattativa serve a fermare l’arricchimento dell’uranio prima che si arrivi alla possibilità di fabbricare un’arma atomica. E l’obiettivo è ottenere un risultato per non giungere a questo punto. Ad aprile dovevamo fare il punto della situazione, ma gli iraniani hanno detto di voler rimandare tutto a dopo le elezioni. In questo momento è molto difficile dire quale sarà il futuro del negoziato, ma penso che bisogna ancora usare gli strumenti politici e della diplomazia, anche nelle circostanze difficili, come quelle vissute oggi dall’Iran».
Passiamo a un’altra crisi nucleare: la Corea del nord. Quale sarà la reazione della comunità internazionale se il regime di Pyongyang lancerà un altro missile a lunga gittata, come si teme?
«I nord-coreani hanno interrotto i negoziati e il Consiglio di sicurezza ha approvato all’unanimità una risoluzione che dobbiamo far rispettare con tenacia. La risoluzione obbliga i paesi membri delle Nazioni Unite a fermare e controllare qualsiasi cargo sospettato di trasportare materiale utilizzato per progetti missilistici o nucleari. Bisognerà vedere fino a che punto Pyongyang vuole arrivare prima di rendersi conto in quale posizione senza senso si è cacciata. Stiamo parlando di un paese che spende una fortuna per lo sviluppo nucleare bellico mentre la sua gente muore di fame».
Infine l’Afghanistan: c’è bisogno di più truppe?
«Non penso. Piuttosto abbiamo bisogno di addestrare più soldati e poliziotti afghani. L’Italia ha fatto molto bene a prendere la decisione di incrementare il suo coinvolgimento in questo campo. Lo stesso stanno facendo la Francia e la Spagna. L’arrivo di più carabinieri o guardie civil o gendarmi servirà ad aumentare e migliorare le capacità della polizia locale.
È favorevole al dialogo con i talebani?
«Sì, ma bisogna essere molto chiari su che cosa questo significa. La galassia talebana è composta da diversi realtà, si va dagli affiliati di Al Qaida a a giovani frustrati perché non trovano lavoro e patiscono la fame. Per questo penso che parte dei cosiddetti talebani sia recuperabile.

Con questa gente è possibile aprire un dialogo, che non deve venir intrapreso dalla comunità internazionale, ma dalle autorità afghane. Credo che siano molti (gli insorti) non legati ad Al Qaida, e pronti ad accettare di venir integrati nella società afghana regolata della Costituzione, ai quali si possono offrire garanzie di incolumità».

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