DOMANDE CAPITALI

DOMANDE CAPITALI

Gianpiero Fiorani e per ora alcuni suoi stretti collaboratori sono stati arrestati ieri notte per dei reati gravissimi: associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita e ad una probabile lunga lista di altri reati. Diciamolo semplicemente: per la Procura di Milano l’ex numero uno della Popolare di Lodi, l’uomo che passeggiava a braccetto con il governatore della Banca d’Italia durante le riunioni dei banchieri, che ha provato a scalare Antonveneta e che ha finanziato la scalata al Corriere della Sera è un ladro. Per di più molto pericoloso. La sua banda (per ora si tratta di cinque persone) sempre per la Procura infatti non poteva restare un solo minuto in più a piede libero. Tutti in galera. Bisogna andare indietro ai tempi di Calvi e Sindona (anche lui aveva una banca che si chiamava Bpi) per ricordare un banchiere in carcere. A questo punto la frase di rito è semplice: la Procura di Milano, nonostante l’indagine sia partita nella primavera scorsa, avrà buone ragioni per aver utilizzato quello strumento terribile, nella sua potenza, che è togliere la libertà ad un cittadino. Nei prossimi giorni ci auguriamo di averne rapida e piena evidenza. E aggiungiamo. Il gip che ha firmato il provvedimento è quella Clementina Forleo che si è distinta nei mesi scorsi per la sua sensibilità garantista. Fu lei a rilasciare dei presunti terroristi nordafricani, distinguendo le attività di «terrorismo» da quelle di «guerriglia».
Proviamo però, per un solo attimo, a mettere in fila qualche ricordo. Proviamo, per un solo attimo, a ricordarci che il presunto bandito sarebbe il caso che andasse in galera dopo un processo e non prima di esso. Proviamo, per un solo attimo, a ricordare il rito ambrosiano di Mani pulite. Proviamo, e scusateci, a ricordare ciò che il Giornale proprio ieri ha scritto: «Nella finanza sembra ormai di assistere ad una sorta di carcerazione preventiva delle scalate. Agendo sulla tenuta dell’imputato alla mani pulite: ti avviso, ti interrogo, ti lascio, ti riprendo, ti reinterrogo. E poi se serve ti arresto». Ecco, gli arresti sono arrivati. E tutti lo sapevano. Già alla fine della settimana scorsa qualche quotidiano lo «sparava». Ieri pomeriggio un’agenzia di stampa mandava in rete i profili degli arrestati. Senonché non erano ancora tali. Una sorta di «coccodrillo» preventivo della carcerazione che nella redazione dei giornali ricorda le inchieste di Di Pietro&Co. In cui si fischia alle redazioni prima che agli interessati un provvedimento tanto delicato come quello che prevede l’incarcerazione.
Non si tratta, si badi bene, di un tentativo di difendere un probabile disonesto, ma il sacrosanto diritto di porre qualche domanda.
Ci si chiede ad esempio. È vero che Fiorani, come risulta dai verbali pubblicati da alcuni quotidiani nazionali, stava iniziando a confessare? Che parlava con gli inquirenti del modo con cui la «banda» si spartiva le plusvalenze derivanti dalle informazioni riservate di cui godevano pochi intimi? L’arresto, è stato prelevato ieri sera dalla sua casa di Lodi, nasce dal pericolo di fuga? Dall’inquinamento delle prove? Oppure per il rischio che reiterasse il reato? nonostante da settembre fosse fuori dalla banca insieme ai suoi più stretti collaboratori. E il coinvolgimento dei politici di cui parla l’ordinanza di arresto? È quello il grande trofeo della partita o la via d’uscita privilegiata dalla galera?
Nella gestione mediatica della vicenda sentiamo un sapore di ricerca di consenso, di preparazione del terreno, che stona.
E anche i tempi hanno un loro peso. L’esposto degli olandesi che ha fatto partire l’indagine della Procura data la primavera scorsa. E Fiorani è fuori dalla banca da tre mesi. E per di più la Procura ha bloccato tutte le azioni e le relative plusvalenze che la Lodi ha in mano per la scalata Antonveneta. Questo diabolico banchiere cosa ha fatto nelle ultime settimane? Ha continuato a rubacchiare e inquinare sotto al naso di inquirenti così attenti? Può essere.

Lasciateci sperare che questo rumore di fondo generato dal tintinnare delle manette, sia solo un riflesso condizionato rispetto al passato giustizialista della Procura di Milano e non il frutto avvelenato di un rinnovato protagonismo dei magistrati.

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