Il dramma dell’ostaggio italiano: «Ascoltate i ribelli o sarà la fine»

Fiato sospeso per la sorte dei tre ostaggi della Croce rossa internazionale, compreso l’italiano Eugenio Vagni, nelle grinfie dei terroristi islamici delle Filippine dal 15 gennaio. Oggi alle 12 (le otto del mattino in Italia) scade l’ultimatum dei sequestratori di Abu Sayyaf, una costola di Al Qaida. Se i marines filippini non si ritirano, uno degli ostaggi verrà decapitato. La situazione è drammatica tanto che è intervenuto il Santo Padre con un appello «affinché il senso umanitario e la ragione abbiano il sopravvento sulla violenza e l'intimidazione». Benedetto XVI chiede «in nome di Dio la liberazione (degli ostaggi) e sollecita le autorità a favorire ogni pacifica soluzione della drammatica vicenda».
E ieri il grido disperato di Vagni è arrivato via telefono alla moglie di origine filippina Kwan, che si trova a Montevarchi (Arezzo), paese di origine del marito. Secondo quanto riferito da un parente, i due coniugi si sarebbe parlati brevemente e l’ostaggio italiano - che ha detto di stare bene - ha confermato che stamattina uno dei tre ostaggi sarà decapitato se il governo filippino non accoglierà le richieste dei terroristi e non ritirerà l’esercito da 14 villaggi della provincia di Sulu.
L’esercito filippino era già arretrato di una decina di chilometri per aprire un canale umanitario, ma alla banda di tagliagole non basta. Il loro capo, Albader Parad, ha avanzato richieste inaccettabili. Prima voleva che i soldati si ritirassero da tutte le città dell’isola di Jolo dove sono tenuti in ostaggio i rapiti. Poi sembrava che si fosse accontentato del ripiegamento da cinque città. In ogni caso il governo filippino non ha alcuna intenzione di cedere al ricatto.
Il ministro dell'Interno di Manila, Ronaldo Puno, definisce «inaccettabili» le condizioni, che confinerebbero i militari «in un angoletto» di Jolo dove sarebbero vulnerabili e non in grado di proteggere mezzo milione di abitanti dell'isola. Ai miliziani di Abu Sayyaf è già stata concessa un’area cuscinetto di 140 chilometri quadrati, ma non basta. Nell’isola sono presenti anche alcuni istruttori militari americani. Specialisti dell’antiterrorismo che hanno messo al servizio del governo gli aerei senza pilota per controllare la banda di sequestratori. «Non ci sono cambiamenti. L’ultimatum è ancora valido. Se l’esercito non si ritira domani (oggi per chi legge) decapiteranno un ostaggio» ha dichiarato la vicegovernatrice dell’arcipelago di Sulu.
Insieme al sessantaduenne Vagni, dal 15 gennaio sono nelle mani dei terroristi islamici lo svizzero Andreas Notter, 39 anni, e la filippina Jean Lacaba, di 37. La donna probabilmente verrebbe risparmiata, ma fra i due uomini sequestrati i terroristi non hanno indicato chi vorrebbero decapitare. In teoria dovrebbero scegliere l’ostaggio meno importante e quindi «sacrificabile». Notter è un delegato della Croce rossa internazionale e Vagni solo un tecnico. Però agli occhi di Abu Sayyaf la Svizzera conta di meno rispetto all’Italia, che ha la presidenza di turno del G8.
L’Unità di crisi della Farnesina è mobilitata, come il nostro ambasciatore a Manila, per tenere aperto un canale di trattativa anche nella notte. Fino all’ultimo minuto si cercherà di far almeno slittare l’ultimatum. In passato i tagliagole di Abu Sayyaf hanno mantenuto le loro promesse.

Ieri il senatore Rodolfo Biazon, ex comandante militare, ha dichiarato: «Se non si potrà risolvere la situazione pacificamente non resta che un’operazione di salvataggio». Ovvero un blitz, che nella giungla di Jolo rischia di trasformarsi in massacro.
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