Duisburg, ha un volto l’autista del commando

Dalla polizia tedesca l’identikit di uno degli autori della strage al ristorante: sei gli italiani uccisi. Sparito uno dei proprietari del locale. Nel mirino dei killer era un pregiudicato sospettato di aver ucciso la moglie di un capocosca calabrese. La Questura di Reggio l’aveva avvisato: "Sei in pericolo"

Duisburg, ha un volto 
l’autista del commando
Duisburg - Sul selciato, davanti al ristorante Da Bruno, ci sono fiori, lumicini e un cartello con la scritta «Warum?», «Perché?». Perché sono stati uccisi i sei calabresi che la sera prima di Ferragosto si erano riuniti nel locale per festeggiare uno di loro, Tommaso Venturi, che compiva 18 anni? Perché un’esecuzione così spietata e feroce che ricorda la Chicago di Al Capone? Oltre settanta bossoli sparati in pochi secondi (forse con una mitraglietta Uzi, di fabbricazione israeliana), due auto completamente crivellate dai colpi, un lago di sangue a cento metri dalla stazione, in una delle zone più trafficate di Duisburg. E, dopo la raffica di spari, il segno finale: un colpo alla testa per giustiziare ciascuna delle sei vittime.

Un regolamento di conti, dicono gli inquirenti tedeschi e italiani. Un ennesimo episodio della faida di San Luca, tra il clan degli Strangio-Nirta e quello dei Vottari-Pelle-Romeo. Ma perché proprio in Germania, perché, per restituire l’ultimo affronto, una delle due famiglie ha deciso di sterminare addirittura sei persone? La scelta di colpire oltre confine sarebbe una prova di forza da parte dei clan, un atto dimostrativo che, secondo gli investigatori, potrebbe scatenare una nuova guerra. E poi per gli uomini del commando (almeno quattro) poteva essere persino più facile colpire in Germania, dove avevano sicuramente dei complici. Le vittime erano un facile bersaglio. A Duisburg dovevano sentirsi al sicuro tanto da girare senza armi e festeggiare in pubblico, seppure in un locale amico perché quasi tutti quelli che ci lavorano sono originari di San Luca.

L’obiettivo dei killer era Marco Marmo, legato al clan dei Pelle-Vottari-Romeo e sospettato di essere uno dei membri del gruppo di fuoco che a Natale 2006 aveva ucciso Maria Strangio, moglie del boss del clan. Due giorni prima Marmo, un pregiudicato di 25 anni, era stato diffidato dalla Questura di Reggio Calabria a uscire nelle ore notturne. Ma anziché seguire il consiglio era partito per Duisburg. Dopo aver colpito lui all’uscita del locale, i sicari hanno sparato sugli altri 5 che l’accompagnavano. Forse perché erano testimoni scomodi o, forse, per rendere ancor più eclatante la punizione nei confronti dei rivali, i killer hanno ucciso anche Sebastiano Strangio, 39 anni, cuoco e proprietario del ristorante, i fratelli Francesco e Marco Pergola, 22 e 20 anni, figli di un poliziotto in pensione, Tommaso Venturi, il festeggiato, e Francesco, di appena 16 anni. Tutti originari di San Luca. È scomparso l’altro socio del ristorante, Giuseppe Strangio, fratello di Sebastiano: sembra che non si trovasse in Germania la sera della strage.

Ieri sera la polizia tedesca, che indaga insieme a quella italiana, ha diffuso l’identikit di un giovane che era alla guida di una grossa berlina su cui sono fuggiti i killer. Così lo hanno descritto i testimoni: «Alto 180-185 centimetri, figura slanciata, capelli scuri corti e basette fin quasi alla bocca, senza barba o baffi, con un grosso neo sotto l’occhio destro».

Quasi tutti i media tedeschi sposano invece l’ipotesi di una «guerra di mafia in Germania», come titolava il Bild Zeitung: «Molti capi clan delle mafie italiane e i loro affiliati - scriveva ieri il quotidiano - si sono trasferiti in Germania investendo in ristoranti e alberghi». Il Berliner Zeitung parla di un rapporto dei servizi segreti, secondo cui la ’ndrangheta avrebbe scelto la Germania per investire i profitti che ricava dallo spaccio di droga comprando immobili nella Germania Est e azioni di società quotate a Francoforte. Il più allarmato di tutti è Jürgen Roth, considerato un esperto di mafia: secondo lui il mercato tedesco renderebbe ai clan dieci miliardi di euro l’anno, cifra che spiegherebbe la brutalità con la quale le cosche si fronteggiano. Di qui l’allarme dei media tedeschi. Un allarme che riguarda la mafia ma che rischia di coinvolgere i tanti italiani che lavorano in Germania e che con la mafia non hanno nulla a che fare.
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