E la mozzarella intossica il made in Italy

Potrà sembrare un cosa da poco. Una bufala. Ma il sospetto che le mozzarelle campane siano contaminate a causa dei rifiuti napoletani, è materia seria. Il fatto che i Paesi asiatici (prima la Corea, poi il Giappone, Taiwan e poi chissà chi altro) le mettano sotto osservazione è uno scandalo che dobbiamo solo a noi stessi (senza scordarsi di Bassolino). Mentre da questa parte dell’Oceano si discute sulla bontà dei prodotti cinesi, dall’altra si mette in discussione lo stile mediterraneo. E non è un caso isolato. Tom Muller è un giornalista tosto del New Yorker. Ha condotto una documentata inchiesta sull’olio extravergine d’oliva, che tra poche settimane si tradurrà in un libro d’accusa. Muller ha scoperto, facendo nomi e cognomi, come trafficanti d’olio made in Italy con sede a Barletta, in Puglia, smerciassero sulla Quinta strada mercanzia adulterata. Insomma una truffa colossale. E l’ennesimo sputtanamento del made in Italy: Muller racconta del traffico del finto extravergine con il piglio di un infiltrato tra i produttori di coca in Colombia.
L’Italia dell’agroalimentare ha un avviamento incredibile: una storia e un sapore che si vendono da soli. E che è difficile rovinare, anche se ci stiamo mettendo tutti gli sforzi possibili per farlo. Mentre la politica si interroga su come arginare l’ingresso di merci a basso costo, la medesima politica si disinteressa di come controllare che le nostre merci ad alto costo siano esportabili. Una bufala su cinque, per tornare alla cronaca, viene venduta al di fuori dell’Italia. Si tratta di un formaggio fresco, deperibile, delicato, che non è facile trasportare e che deve alla tempestività della consegna buona parte delle sue qualità organolettiche. I nostri piccoli produttori hanno fatto miracoli: lottano contro la criminalità che li bastona, con le infrastrutture che non hanno, con il peso del fisco che sulle piccole aziende è insopportabile. Insomma, lottano contro lo Stato che non c’è e che al contempo è troppo invadente; ma una battaglia contro l’aria (inquinata) non possono farla. È una tragedia. Una piccola tragedia: non è il fallimento di una grande impresa industriale.

È la vita di una molteplicità di piccoli e medi imprenditori, di famiglie e contadini che talvolta parlano ancora in dialetto, ma che hanno saputo interpretare il made in Italy e farlo conoscere persino in Corea e a Taiwan. Si tratta degli ambasciatori del nostro stile di vita, del nostro palato, della nostra storia. Non sottovalutiamo una crisi, che rischia di diventare sistemica.
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