Ogni abito che cuciono viene pagato loro tra i 3,5 e i 5 euro per poi essere venduto, tra i 50 e i 100 euro, nei negozi «per tutte le tasche» della Capitale. Centinaia di cinesi lavorano stipati in laboratori caldi e bui, alla periferia di Roma, con accanto i figli piccoli, anche per 17 ore, per rifornire le case di pronto moda, il prêt-à-porter italiano dei vestiti non firmati e a poco prezzo che occhieggia dalle vetrine di via Nazionale e via del Corso.
Sui capi già pronti nei laboratori controllati giovedì notte dalla polizia municipale di Roma erano cucite le etichette di una delle marche più note del pronto moda, Sandro Ferrone, re del «cheap», griffe nota per una testimonial deccezione, Sabrina Ferilli. Sullautenticità delle etichette, spiega la municipale, verrà anche avviato un accertamento.
Resta il fatto che gli abitini portano con sé la fatica, il sudore dei moderni schiavi. E grazie a questi ragazzi il pronto moda riesce a rinnovare le collezioni anche sei volte in un anno, a differenza delle griffe più note che si limitano a due collezioni.
Sette tra laboratori di sartoria e capannoni deposito gestiti da cittadini cinesi sono stati sequestrati dagli agenti della polizia municipale dellVIII Gruppo di Roma, comandato dal colonnello Antonio Di Maggio. Le zone controllate sono quelle del quadrante sud, tra la Casilina, la Prenestina e la Borghesiana, periferia estrema. Si è trattato della terza missione negli ultimi dieci giorni per gli agenti dellVIII gruppo.
Nei capannoni la scena che si sono trovati davanti era sempre la stessa: ragazze e ragazzi cinesi tra i 20 e i 30 anni, tutti provenienti dalla regione dello Zhejiang, file di tavoli con macchine da cucire, quintali di stoffe e fili, zero misure di sicurezza.
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