Ecco perché può servire l’italiano in Costituzione

Non è nuova l'idea di aggiungere all'articolo 12 della nostra Costituzione un comma che preveda l'italiano come lingua ufficiale della Repubblica. Già un proposta di legge costituzionale in tal senso, primo firmatario il finiano Mitolo, era stata approvata dalla Camera in prima lettura il 26 luglio 2000. Licenziata poi dalla commissione Affari costituzionali del Senato il 19 ottobre successivo, è decaduta con la fine della XIII legislatura. Né le cose sono andate meglio nella legislatura successiva. Anche stavolta la Camera ha detto sì, mentre il Senato ha rinviato il tutto alle calende greche. Ma diversi deputati di An, da Angela Napoli al capogruppo La Russa, non si sono dati per vinti. Hanno ripresentato anche in questa legislatura le loro proposte di legge costituzionale, assolutamente identiche. E, dopo l'istruttoria della commissione Affari costituzionali, l'assemblea di Montecitorio ne ha iniziato l'esame nella seduta del 12 dicembre e lo riprenderà alla ripresa dell'attività parlamentare dopo la pausa di fine anno.
Il testo uscito dalla commissione è leggermente diverso rispetto alle proposte di legge presentate e suona così: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali». Un'aggiunta pretesa dal centrosinistra a scanso d'equivoci. Ma tutto è a posto e nulla in ordine. Difatti in aula non sono mancati i distinguo. Così Violante ha sostenuto che nella destra la questione della lingua, come quella della nazione, fa parte di un patrimonio ideale che risale a una lettura conservatrice del Risorgimento. Il verde Boato ha sottolineato la necessità di non attribuire una particolare valenza ideologica a questa iniziativa legislativa. Il leghista Cota ha adombrato il sospetto che la proposta di legge intenda contrastare le spinte autonomistiche. Dulcis in fundo, in polemica più con l'Unione che con la Casa delle libertà, il rifondarolo Russo ha espresso il timore che la conoscenza della lingua possa rappresentare un freno alla cittadinanza richiesta dagli stranieri.
Fuori dal Palazzo, non un Pinco Palla qualsiasi ma Tullio De Mauro, linguista principe e ministro della Pubblica istruzione nel secondo governo Amato, si è messo di traverso. La proposta di legge? Per lui è «un'innocua sciocchezza». Ancora: «L'utilità mi pare prossima allo zero visto che la materia è già regolamentata». Infine, alla domanda se gli italiani conoscano la loro lingua, il professore ha opposto un significativo «no comment».
E già, perché il punto è proprio questo. È ben vero che varie disposizioni legislative, da ultimo la legge 482 del 1999, disciplinano la materia. Ma inserire un disposto del genere nella Costituzione è tutt'altro che inutile. La pensano così linguisti non meno autorevoli di De Mauro, come Sabatini, Nicoletta Maraschio, Coletti. E le Costituzioni di molti Paesi europei - come l'Austria, il Belgio, la Finlandia, la Francia, l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna - non a caso contengono previsioni in tema di lingua. Perché, com'era convinzione di Piero Calamandrei, le norme costituzionali hanno una loro efficacia pedagogica perfino quando non sono rispettate a puntino.
Ora, diciamocela tutta. La nostra lingua è sfigurata di continuo anche da chi ha compiuto un corso più o meno regolare di studi. Il nostro ordinamento giuridico è una selva oscura anche perché le leggi sono sovente scritte in un italiano approssimativo. Il burocratese è una neolingua. E i forestierismi ormai sono di casa e soppiantano sempre di più la nostra lingua. Anche la televisione non scherza. Basti dire che l'ufficiale dell'Aeronautica che fa le previsioni meteorologiche, il venerdì non ci augura un «buon fine settimana». Macché.

Ci augura, quasi che passeggiasse sulle rive del Tamigi, «buon weekend». Costringendo i puristi, in caso di bel tempo, di restarsene a casa per ripicca anziché andarsene al mare o sui monti. Benedetta questa riforma se porrà fine all'attuale torre di Babele!
paoloarmaroli@tin.it

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