Stangata spesa per le famiglie: ecco la verità sugli aumenti

Il carrello della spesa è sempre più pesante: oltre 500 euro di rincari. E Coldiretti annuncia che l’80% dei raccolti è a rischio a causa del maltempo: la situazione può ancora peggiorare

Stangata spesa per le famiglie: ecco la verità sugli aumenti

L’Istat ha reso noti i dati dell’inflazione, il 7,9% a luglio rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e, per quanto riguarda il carrello della spesa – i prodotti di prima necessità che si acquistano d’abitudine – l’inflazione è arrivata al 9,1% su base annua. Si tratta di un valore medio, perché alcuni beni sono aumentati a doppia cifra. E i prezzi dei prodotti ortofrutticoli sono destinati a salire ancora.

Coldiretti ha analizzato i dati forniti dall’Istat per stimare in 564 euro il maggior costo sostenuto dalle famiglie per la spesa alimentare. I consumi crollano e gli attori della filiera alimentare boccheggiano.

L’analisi di Coldiretti

Coldiretti ha calcolato che, durante il 2022, la famiglia italiana media spenderà 564 euro in più per fare la spesa. La pasta, il riso e il pane costano alle famiglie 115 euro in più, salumi e carni 98 euro in più e le verdure 81 euro in più. Sempre rispetto al 2021 latticini e uova pretendono esborsi maggiorati di 71 euro. Il pesce costa invece 49 euro in più in media a famiglia.

Va tenuto conto che si tratta di valori medi e che rappresentano una mera indicazione, specchio però di una realtà sempre più complessa sia per i consumatori, sia per i produttori.

Il 13% delle aziende agricole si trova in acque tanto torbide da prendere in considerazione di cessare l’attività. Un terzo (il 34%) lavora con margini negativi, quindi in perdita. Gioca un ruolo anche la dipendenza alimentare dell’Italia dall’estero. A pesare sono gli aumenti dei prezzi dei concimi, dei mangimi e delle risorse energetiche. Tutti elementi che pesano sul portafogli del cliente finale.

La situazione può peggiorare

Il clima non è amico dell’agricoltura. La siccità ha decimato i raccolti e, sul fronte meridionale del Paese, il maltempo ha fatto altrettanto. L’allarme, lanciato ancora una volta da Coldiretti, parla di perdite ingenti che nel beneventano e nel casertano hanno falcidiato fino all’80% della produzione e che, più generalmente, il maltempo ha messo in crisi in tutto il Sud. Ciò si traduce in una minore offerta con conseguenti aumenti dei prezzi, in un momento in cui i consumi hanno necessità di risollevarsi. Sulle proiezioni di Coldiretti c’è poco da dire, sui motivi per i quali i prezzi aumentano, però sentiamo il dovere di dissentire.

I veri motivi delle impennate

Coldiretti addebita l’esplosione dei prezzi alle sinergie tra l’aumento dei costi dell’energia, i raccolti falcidiati dalla siccità (o dal maltempo) e la situazione russo-ucraina. Tutti argomenti validi ma, in assenza di dati più specifici, occorre ricordare che l’economia è scienza sociale e tra i primi effetti scatenanti dell’inflazione c’è l’inflazione stessa. Nelle filiere, ossia quel lungo percorso che va dall’estrazione o dalla coltivazione delle materie prime fino all’arrivo dei prodotti sugli scaffali dei negozi, l’inflazione si gonfia. Chi compra a un prezzo maggiorato dell’1% non si limita ad aggiungere il supplemento al prezzo a cui vende, o tende ad arrotondarlo oppure lo maggiora a sua volta. I passaggi delle filiere in alcuni casi sono molti, anche decine, e se ogni anello della catena ritocca i prezzi di pochi centesimi in più a suo vantaggio, il peso per i consumatori si fa insostenibile.

Le richieste della filiera ruotano attorno alla diminuzione del cuneo fiscale, ovvero il costo del lavoro. Tema reale, che ogni esecutivo promette di affrontare in modo serio ma che poi non fa. Ciò che non sappiamo, e quindi qui ventiliamo soltanto come ipotesi, è con quale sensibilità i prezzi vengono gestiti all’interno delle filiere (non soltanto quella alimentare) e quali sono gli accorgimenti a tutela del primo anello della catena, vale per il comparto ortofrutticolo così come per ogni altro settore: i produttori sono messi in condizione di lavorare o il mercato toglie loro ossigeno pagando poco il loro lavoro? Se il prezzo lo dà l’equilibrio tra domanda e offerta, quest’ultima deve essere proposta al meglio e non pilotata.

Ciò che invece sappiamo e che qui scriviamo con preoccupazione, è che l’Italia può diminuire la propria dipendenza alimentare aumentando le coltivazioni interne usando i terreni lasciati a “maggese”, a riposo.

Sappiamo che occorre un maggiore rispetto delle biodiversità del Paese e che questa cultura può portare a un mercato interno più solido, rispettoso di chi lavora nella filiera alimentare, dei consumatori e dell’ambiente.

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