Sul "Corriere" le mani di Fiat-Mediobanca

L’uscita di Della Valle svela la nascita del nuovo asse di potere. L’unico contraltare resta Bazoli

Sul "Corriere" le mani  di Fiat-Mediobanca

L’uscita di Diego Della Valle dal consiglio e dal patto di sindacato del Corriere della Sera cambia le carte sul tavolo degli equilibri della grande finanza. Da martedì 4 aprile è nato un nuovo asse: quello tra Mediobanca e Fiat. Sono stati i primi due soci del patto, che detengono rispettivamente il 13,7 e il 10,3% della cassaforte che ora controlla il 58% del capitale di Rcs, a fare blocco sul nuovo assetto di Rcs. E cioè a chiedere e ottenere un passo indietro degli azionisti-imprenditori dal cda in cambio dell’ingresso di consiglieri indipendenti. Non a caso lo scontro all’interno della riunione del patto, durissimo nei toni, è stato proprio tra Della Valle e la coppia Renato Pagliaro-John Elkann, presidenti di Piazzetta Cuccia e Lingotto.

Un «ragazzino» e un «funzionario», li ha definiti il patron della Tod’s, non nuovo agli epiteti d’effetto che scombussolano il paludato mondo dei poteri forti. Come gli «arzilli vecchietti» dello scorso anno per Cesare Geronzi e Gianni Bazoli; o la «famiglia Addams» per la genia dei Romiti.

L’asse Mediobanca-Fiat si è imposta come largamente maggioritaria non avendo all’interno del patto contrapposizioni altrettanto forti. L’unico in grado di tenere botta è stato il presidente di Intesa e Mittel, Gianni Bazoli, che, avendo dalla sua la storica influenza sulle cose del Corriere ereditata per cooptazione diretta dall’Avvocato Agnelli, nonché qualche fedele amico come i Pesenti, è riuscito a salvare il salvabile. Bazoli ha difeso il direttore Ferruccio De Bortoli, non esattamente adorato in casa Fiat, sul quale era in atto una manovra per spedirlo alla presidenza di Rcs. Dove invece arriverà Angelo Provasoli, avvocato amico di Bazoli e ben accettato dal tutto il resto del sistema.

L’asse con la Fiat, invece, ha permesso a Mediobanca di far passare un’«operazione indipendenza» nel cda della società editrice del Corriere che però, malignamente, si può anche leggere come una mossa che taglia fuori dal board i più «rognosi» azionisti privati, per sostituirli con soggetti che, a ben guardare, sono poi funzionali ad accrescere il business della stessa banca d’affari. Non ce ne vogliano gli interessati se questo può valere sia per l’ad dell’Enel, Fulvio Conti, sia per il consulente Roland Berger, sia per Andrea Bonomi, appena portato da Piazzetta Cuccia al vertice della Banca Popolare di Milano. I nuovi equilibri nascono dunque sulla dialettica tra Mediobanca-Fiat e Bazoli, che prende il posto di quella tra Bazoli e Geronzi, morta e sepolta dopo che lo stesso Della Valle, sostenuto un anno fa proprio da Mediobanca, ha fatto fuori Geronzi dalle Generali; mentre un altro pezzo del sistema geronziano, tradizionalmente più vicino al centro destra quale quello dei Ligresti, si è fatto fuori da solo con il naufragio della Fonsai. Ma non è bastato, a Della Valle, per imporre il suo pensiero: quello che «i salotti non esistono più, c’è solo il mercato».

Per cui bisogna uscire dalla logica dell’arrocco del capitalismo di relazione, incapace di gestire le aziende come Rcs, che invece richiedono la presenza attiva degli imprenditori che ci hanno messo i soldi e che altro non vogliono che farli rendere. Non è bastato anche perché il vuoto è stato riempito da Mediobanca che, alle prese con la grana Fonsai, non poteva permettersi di allentare la presa sul Corriere rischiando di indebolirsi. E questa volta non ha seguito Dieghito come fece l’anno scorso a Trieste.

Il quale non ha nemmeno potuto ricevere l’appoggio de giro di Luca di Montezemolo e Paolo Mieli, tagliati a suo tempo fuori dal gioco e che avevano il Antonello Perricone, l’ad di Rcs, un ultimo baluardo.

Tutta da interpretare la reazione di ieri della Borsa, dove il titolo, anche per lo scarso flottante, è schizzato del 20,1%: per Elkann «il segnale che viene dal mercato è positivo e ci incoraggia a proseguire sulla strada che abbiamo imboccato». Per Della Valle il significato è opposto: l’imprenditore marchigiano è più battagliero che mai e convinto che molti soci del patto «non abbiano affatto gradito l’esito della tenzone e al prossimo giro non ci staranno più».

Come a prefigurare che per il settembre 2013, quando bisognerà dare le disdette per il rinnovo del patto che scade nel marzo 2014, potrebbe nascere una nuova maggioranza. Anche perché, fuori dal patto, con il 5,4% di Della Valle ci sono già il 5% di Toti, il 5% di Benetton e l’11% di Rotelli.

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