Energia, sarà il carbone a salvare la nostra bolletta

Le tariffe di luce e gas sono le più alte rispetto all'Ue. L'Authority ne denuncia i costi. Adesso, dopo lo stop al nucleare, bisogna frenare la sbronza eolica e fotovoltaica

Energia, sarà il carbone  
a salvare la nostra bolletta

L’Autorità dell’energia ci in­forma che la bolletta elettrica ita­liana è la più elevata d’Europa, ma non è una novità. È da lustri che il kWh elettrico italiano, sia per le famiglie che per le aziende, sia al netto che al lordo delle im­poste, è il più elevato al mondo. Il perché non è difficile compren­derlo. Innanzitutto, dobbiamo importare la materia prima - gas o carbone - per produrre l’elettri­cità. Poi, abbiamo deciso di pre­ferire quello e snobbare questo, ma il gas è ben più costoso del carbone. Tanto per un confron­to: la produzione di elettricità è da gas per il 20% in Usa e in Gran Bretagna, per il 10% in Germa­nia, per il 5% in Francia, mentre lo è per il 50% in Italia. Terzo, ab­biamo bisogno di più elettricità di quella che riusciamo a pro­durre: un buon 15% del nostro fabbisogno lo importiamo come tale.

Più precisamente, siamo il Paese con la più alta quota al mondo, in assoluto, di energia elettrica di importazione. Ce la fornisce la Francia, il Paese con la maggiore quota al mondo di esportazioni d’elettricità, che la produce per l'80% da nucleare. Con il referendum del 1987 non dicemmo no al nucleare, ma ne facemmo un (ennesimo) bene d’importazione, per il quale ab­biamo speso per 20 anni, ogni anno, quanto avremmo speso a installare un reattore nucleare in casa ogni anno: abbiamo pagato noi la costruzione dei reattori nucleari francesi. Questa colos­sale quantità di denaro a benefi­cio dello straniero è naturalmen­te sottratta ai nostri servizi e al nostro benessere: per dire, la qualità dei nostri ospedali o delle nostre scuole, inclusi gli stipendi degli insegnanti, è inferiore a quella dei Paesi vicini, perché il nostro denaro serve per approv­vigionarci d’energia. La quale è lo strumento primario per creare posti di lavoro: senza energia non si produce, e se non si pro­duce non si lavora.

E anche se l’energia fosse disponibile, se lo è a costi più elevati che in altri po­sti, l’imprenditore energivoro of­fre lavoro altrove. Questo governo aveva provato ad avviare un circolo virtuoso, di cui avrebbero beneficiato soprat­tutto i nostri figli, visto che i reat­tori nucleari non si fanno in una notte. Però, è stato debole: non ha saputo difendere il proprio stesso operato e i ministri alle At­tività produttive e all’Ambiente ­va detto, anche se altrimenti ap­prezzabile il primo e una signora la seconda - hanno brillato per la loro assenza durante la campa­gna referendaria e non sono stati all’altezza dei loro ruoli. Se il go­verno - qualunque governo ­pensasse che l’esito referendario abbia eliminato una grana (il processo, tutto in salita, del riav­vio del nucleare), si illuderebbe di grosso: il referendum ha fatto rovinosamente riprecipitare al punto di partenza il problema energetico, e la salita rimane tut­ta. Cosa fare, allora, nel breve termine?

Con coraggio anticipa­re quanto prima la fine della sbronza delle tecnologie fraudo­lente, la eolica e fotovoltaica, ap­pannaggio di piccoli, medi e grandi speculatori; e con altret­tanto coraggio potenziare l’uso del carbone. Quanto al nucleare, dimenticarlo.

Salvo insegnarlo nelle scuole sin dalle elementari, affinché tra cinque o dieci anni, quando i nostri ragazzi saranno obbligati a riprenderlo in consi­derazione, non accada più che l’agenda di politica energetica sia dettata, in Italia, da comici, cantanti e saltimbanchi.  

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