Erdogan fa il sultano e sfida le Forze armate

Il parlamento a maggioranza islamica approva il nuovo statuto: non dovranno più "vigilare sulla Repubblica", ma sui nemici esterni

Erdogan fa il sultano e sfida le Forze armate

Nessuno avrebbe creduto che il premier Erdogan fosse un sultano nudo. Che a svestirlo e a politicamente sfidarlo fossero stati proprio gli elementi - intellettuali, studenti, giornalisti (anche se il numero che teneva in prigione era superiore a quelli incarcerati in Cina), tecnocrati, universitari, contadini urbanizzati e male integrati nelle aree metropolitane)- che in 11 anni di guida del Paese il premier aveva favorito, arricchito alimentando (tramite anche i social network) nuove ambizioni, desiderio di maggior libertà personale e famigliare. Ambizioni cui Erdogan reagisce con giri di vite, come la sostituzione delle guardie private nelle università con i poliziotti, la repressione dell'annunciata manifestazione dei giornalisti per la libertà di stampa, e soprattutto con la modifica dello statuto delle Forze armate per ridurne il ruolo storico di garante dela laicismo di Stato.
Che Erdogan fosse un leader autoritario, come del resto era stato Atatürk, lo si sapeva. Che fosse suscettibile e permaloso lo si era visto nel suo scontro a Davos con Shimon Peres e poi con il tentativo di rompere il blocco di Gaza. Ma Israele é un caso a parte. Che si fosse trasformato in un sultano in giacca e cravatta - chiuso in sogni di grandezza politica, religiosa, imperiale per una Turchia trionfalistica (ambizione di ospitare future olimpiadi, 700 miliardi di nuovi investimenti per la trasformazione di Istanbul in un centro borsistico internazionale, creazione del più grande aeroporto del mondo, eccetera) pochi l'avevano capito. Ancor meno che la sua vittoria elettorale con il 51% di consensi fosse una frode. Erdogan aveva ricevuto una maggioranza relativa del 34% che la legge elettorale premiava con la maggioranza assoluta, convinto di poterla mantenere per diventare presidente della Repubblica con i poteri assoluti di un sultano antico in vesti moderne.
All'interno del Paese la sua immagine non era stata incrinata dai suoi insuccessi in politica estera anzitutto perchè lo scontro con Israele con Cipro greca con l'alleato siriano il suo rifiuto di collaborare con l'America in Iraq facevano ottimo materiale di propaganda. La «primavera araba» non aveva contagiato la Turchia proprio perché araba, cioé fatta da popolazioni ex suddite imperiali ottomane che i turchi disprezzano e cui non perdonano il tradimento della Sublime Porta nella prima guerra mondiale. Erdogan si sentiva sicuro perché con l'aiuto dell'Europa aveva decapitato l'esercito e imbavagliato i giudici, entrambi garante della laicità repubblicana. Quello che non si immaginava era di poter essere sfidato nel suo prestigio personale da una massa disordinata di ecologisti sostenuti da twitter e da gente che ha compreso che la rivolta passiva fotografata e il grido tamtam «Erdogan vattene» é più forte di qualunque polizia. Una polizia che il premier ha promosso a scapito dell'esercito incapace di contenere una rivolta molto piu sociale che politica.
Le sue possibilità di cambiare la Costituzione e farsi eleggere a presidente della Repubblica hanno ricevuto un colpo duro ma non certo mortale. Non può però commettere l'errore, da lui già minacciato, di far ricorso all'esercito: tutto potrebbe cambiare per il peggio. Potrebbe ridare fiato e orgoglio a un'istituzione che resta ancora fondamentalmente laica e desiderosa di svolgere di nuovo un compito diverso da quello di combattere malamente i curdi.
Ma proprio con il voto parlamentare che approva la modifica del ruolo dei militari questa prospettiva viene ostacolata.

Con la nuova versione dell'articolo 35 dello statuto delle Forze armate, esse non hanno più «il dovere di proteggere la Repubblica e vigilare su di essa», ma solo di «difendere il suolo turco contro minacce dall'estero». Sarebbe interessante sapere cosa sta passando nella testa dei militari stazionati nella Turchia europea, e in quella dei comandanti dell'aviazione, più vicina al regime.

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