Obama a Gerusalemme con una missione: far pace con gli israeliani

Incontrerà anche i palestinesi. Ma il suo vero obiettivo è ricostruire i rapporti: nello Stato ebraico solo uno su tre lo considera un amico

Obama a Gerusalemme con una missione: far pace con gli israeliani

Gerusalemme - Le bandiere israeliane e americane appese un po' ovunque a Gerusalemme sono quasi mille, dicono soddisfatti dalla municipalità della città. Barack Obama arriva oggi, per una visita di 48 ore in Israele e in Cisgiordania. Poster con la faccia del presidente Usa sono sui muri di Gerusalemme e Ramallah, nei Territori palestinesi. Il governo israeliano ha persino studiato un logo della visita: le bandiere dei due Paesi e la scritta «Alleanza indistruttibile». Nonostante l'insistenza sui simboli e l'atmosfera di festa, l'arrivo di Obama non accende qui reali speranze.

Sulla stampa israeliana, palestinese e americana nei giorni scorsi l'espressione più ricorrente legata alla notizia del viaggio è stata: «Basse aspettative». E abbassare le aspettative sembra essere anche la strategia di Washington. Dietro a ogni viaggio di un leader americano in Medio Oriente si nasconde la speranza di una nuova iniziativa di pace, di una miracolosa soluzione tra israeliani e palestinesi. Questa volta, poche settimane prima della sua partenza, lo stesso presidente Obama ha annunciato di non aver nessun piano da proporre alle parti. Ben Rhodes, suo consigliere, ha spiegato ai giornalisti come «non ci siano aspettative di siglare un accordo su iniziative maggiori», anche perché il governo del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha poco più di tre giorni di vita. Per Rhodes, però, iniziare ora a parlare può servire a «inquadrare» future decisioni. «Abbassare le aspettative è una strategia dopo il trauma del primo mandato - dice Shlomo Brom, esperto dell'Institute for National Security Studies di Tel Aviv - nel 2011 Obama aveva grandi ambizioni per negoziati, ma è stato un fallimento».

Obama e Netanyahu parleranno quindi di Iran - il presidente cercherà di convincere Israele a dare ancora spazio alla diplomazia prima di un intervento militare contro le installazioni nucleari di Teheran - del deterioriarsi della situazione in Siria e dello stallo nei colloqui tra israeliani e palestinesi. Geopolitica a parte, però, la priorità del leader americano sembra essere comunicativa: «Vuole costruire una nuova relazione con la popolazione israeliana, non necessariamente con il governo», spiega Brom ricordando come, all'inizio del suo primo mandato, Obama abbia visitato la regione, senza però fermarsi in Israele. Questo, la sua difficile relazione con Netanyahu, la ferma posizione americana in favore di un congelamento delle costruzioni di insediamenti in Cisgiordania non hanno aiutato la popolarità del leader: soltanto un terzo degli israeliani crede che Obama abbia un atteggiamento favorevole nei confronti del Paese. Il presidente lo sa, per questo ha deciso che l'obiettivo di questo viaggio sarà cercare un rapporto più disteso con gli israeliani. In un parallelismo con il discorso all'università del Cairo del 2009, quando cercò la riconciliazione con il mondo musulmano, a Gerusalemme Obama parlerà agli studenti e non ai deputati del Parlamento.

Un messaggio particolarmente forte arriverà dalla sua visita al Museo d'Israele, dove sono conservati i Rotoli del Mar Morto, un insieme di manoscritti di oltre duemila anni tra cui ci sono testi della Bibbia in ebraico. Sono stati ritrovati più di 60 anni fa nella zona del Mar Morto e rappresentano per Israele un simbolo importante della presenza ebraica lungo i millenni in Medio Oriente. Nel discorso del Cairo, Obama aveva legato la legittimità dello Stato d'Israele all'Olocausto.

Pagare tributo a questi manoscritti significa riconoscere anche le millenarie radici bibliche della nazione, ha spiegato alla tv israeliana l'ambasciatore a Washington Michael Oren: «Questo non è un Paese caduto qui dal cielo dopo l'Olocausto, è un Paese radicato nella regione».

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