New York - Tra liti, pugnalate, imboscate, veti incrociati e dichiarazioni al vetriolo spesso sono sfociate in insulti personali, alla fine democratici e repubblicani hanno praticamente trovato il compromesso che eviterà il deafult tecnico. Oggi Wall Street potrà respirare e il temuto crack del «lunedì nero» dovrebbe apparire come un incubo scampato, con le pensioni sociali e quelle dei 5 milioni di veterani che saranno regolarmente pagate, come i salari ai 2 milioni di soldati e ai dipendenti federali. Il governo americano potrà erogare i fondi per le opere pubbliche e le commesse militari, rimborsare le spese mediche e sanitarie a ospedali e dottori e continuare a finanziare le spese per i servizi sociali e la ricerca scientifica.
La «bancarotta» tecnica, l'impossibilità di far fronte ai pagamenti, è stata evitata in extremis, il presidente Obama si avvia a firmare un piano finanziario di «lacrime e sangue», con tagli verticali da 2.800 miliardi di dollari che cambieranno il futuro dell’America e degli americani. In modo pesante. Obama ha dovuto ingoiare il rospo, ha dovuto accettare il «budget» che è quello predisposto dal leader repubblicano John Boehner, lo speaker del Congresso, con alcuni aggiustamenti soft che daranno alla sua amministrazione un po’ di respiro. Tagli verticali di 4 mesi e da subito per quasi mille miliardi di dollari (mentre Boehner giorni fa ne chiedeva «appena» per 917). Ma alla fine, dopo il giorno del Ringraziamento, ossia il 25 novembre, una commissione bipartisan dovrà predisporre ulteriori decurtazioni fino alla cifra di 1.800 miliardi. Una manovra incredibile, anche per la più grande economia al mondo. Sacrifici per tutti che mai il governo americano aveva chiesto nella sua storia.
E sarà un salasso politico ed economico per Obama da subire brutalmente, dopo il giorno del tacchino, affinché la sua amministrazione possa avere un secondo aumento del tetto del debito in grado di coprire i bisogni finanziari degli Usa fino a dopo le elezioni presidenziali di novembre 2012. Qualora il Congresso (a larga maggioranza repubblicana) non dovesse approvare i tagli dolorosi che Obama e i democratici dovranno presentare alla nazione a fine anno, ecco scattare la trappola preparata dallo speaker Boehner e dal leader repubblicano al senato, Mitch McConnel (vero artefice dell'accordo). Il Congresso, con un semplice voto di maggioranza - per la felicità dei quaranta deputati del Tea Party- in questo caso approverebbe drastici tagli automatici di spesa.
Si voterebbe insomma un emendamento alla Costituzione per consentire il pareggio di bilancio, obbligando il governo a spendere solo quanto raccolto con le entrate fiscali e tributarie (circa 200 miliardi di dollari al mese, ma il governo ha bisogno di quasi 300 miliardi per pagare tutto e tutti).
Toccherà a Obama la responsabilità politica di decidere, quindi, chi pagare e chi non rimborsare. Se pagherà le pensioni sociali e ai veterani, i salari ai militari impegnati in Irak e in Afganistan oltre a rimborsare le spese sanitarie agli ospedali, non avrà fondi a sufficienza per finanziare le opere pubbliche in corso e far fronte alle commesse militari.
E dovrà operare di «forbice» mese per mese, a partire dal gennaio 2012, durante tutta la campagna presidenziale.
L'emendamento per il pareggio di bilancio riscuote l'appoggio del 74% degli americani, secondo un sondaggio della «Cnn», e soltanto un 24% lo respinge. È una legge che Obama ha sempre respinto, ma ha dovuto subire, pena il default. Come ha dovuto subire tagli più drastici al bilancio, senza che siano aumentate le tasse ai più ricchi, ai miliardari come Bill Gates, Warren Baffett o Steve Jobs che hanno una imponibile del 17%, mentre i loro dipendenti pagano il 30%.
Peggio ancora: Obama voleva aumentare le imposte alle grandi multinazionali, come General Electric, Ibm o ai colossi petroliferi che hanno sconti fiscali incredibili e non pagano un dollaro di tasse, nonostante accumulino ogni anni centinaia di miliardi di dollari di utile. «Only in America», soltanto in America può' succedere una cosa del genere.
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