Per rendere più suggestivo il suo cinico tour elettorale fra il Veneto e il Piemonte, passando per la Lombardia, Walter Veltroni si è inventato un’epica che non c’è. Il viaggio avventuroso del cavaliere solitario che caracolla contro il drago della questione settentrionale, non per ucciderlo, ma per titillarlo e blandirlo, per farne anzi uno sciocco animale da circo disposto a propagandare il Pd. Veltroni adora gli effetti speciali, per certe sue propensioni cinematografiche non disdegna di apparire come il protagonista di una post-moderna saga nordica, ma forse nel profondo è consapevole di non essere sufficientemente credibile. Ed ecco che in suo aiuto accorrono i ragazzi del coro, i signori della retorica, i fabbricanti di effimeri miti mediatici che stanno ad Omero come le pulci stanno agli elefanti. La retorica, la madre di tutti gli inganni, l’arte delle metafore sgangherate, dell’esagerazione sistematica e senza vergogna.
I maestri di retorica sono tanti e tutti insonni. Fra i più arditi si è segnalato, ieri mattina su Repubblica, Edmondo Berselli, con un articolo vibrante ed evocativo il cui titolo ci illumina con un’immarcescibile certezza: «L’ex sindaco piace al Nord». Un articolo caldo, ben intonato, nel quale si sostiene che il Settentrione è ancora, nella «pancia», berlusconiano, però sarebbe nato un feeling, un’affinità elettiva (elettorale) fra Veltroni e il popolo degli imprenditori piccoli, medi a anche grandi, la schiera della «partita Iva», insomma fra il trasformista del Pd e i fabbricatori di ricchezza fin qui tacciati, dal centrosinistra, di egoismo e aridità fiscale.
Nella prosa berselliana l’ipotesi del nuovo feeling è adombrata con abilità: non è ancora una certezza, ma è in progress, si sa come vanno le cose del mondo. La prova? La memorabile giornata di Mantova: Veltroni accolto da una folla che non si vedeva dalla visita di Papa Wojtyla, Matteo Colaninno «il giovane» (ha già diritto a essere nominato come i grandi romani) avvolto dal calore dei plaudenti. Che giornata! Ci fosse stato il Duca di Mantova si sarebbe schierato anche lui, con giullari, banchieri e cortigiani, col Pd, perché in tempo di «ma-anchismo» pure i nobili di sangue hanno diritto a essere intruppati nel gran carrozzone veltroniano, con operai, padroni delle ferriere, precarie e suonatori avventizi di piffero.
Come ogni elaborazione retorica, l’articolo lascia intravedere una profezia: che Veltroni possa essere la stella nova, non il rappresentante delle corporazioni proprietarie e padronali, ma colui che ha scommesso sull’«imprenditoria nuova, sui creatori e utilizzatori di tecnologia». Toccante, no?
Peccato che la retorica sia spesso la madre di tutte le bufale. Veltroni è stato accolto nel Nord, che è civile con tutti, dal calore degli apparati suoi e dei suoi candidati ad effetto. Ma ipotizzare che il Nord possa voltare le spalle a se stesso per amor di «nuovismo» è irrealistico.
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