Si era inventato un business geniale. Disonesto sì, ma comunque geniale. Comprava oggetti a pochi euro, di fabbricazione cinese, li corredava con finti certificati di autenticità e li spacciava per preziosi introvabili, che rivendeva a caro prezzo ai collezionisti. Convinti di avere fatto un affarone e ignari di essersi aggiudicati una clamorosa patacca, la classica Sola (con la s maiuscola, sì).
Il protagonista di questa curiosa vicenda, un 53enne, non aveva lasciato nulla al caso: laureato in storia, si vantava di possedere specializzazioni su specializzazioni in paleontologia e arti antiche varie ed eventuali. Da eminente cattedratico quale si definiva, si era disegnato su misura un fantomatico centro di ricerche, da lui presieduto e coordinato, che ospitava una pletora di (inesistenti) esperti e che rilasciava documenti ad hoc, con tanto di timbri e sigilli di garanzia. Così oggettacci buoni al massimo per una vetrinetta da salotto di una vecchia zia, luccicante però senza pretese, venivano elevati alla dignità di diademi, acquamanili, pettorali, baltei con pietre e gemme preziose, rarità uniche nel loro genere con tariffario a tanti tanti zeri.
Dopo oltre un anno di indagini il truffatore è stato smascherato dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Roma, a conclusione di una complessa attività che ha incrociato due diversi filoni, ed è stato arrestato. A metterlo con le spalle al muro lultima truffa in ordine di tempo, ai danni di un noto professionista di Genova che voleva arredare la sua residenza sulla darsena del capoluogo ligure, e a cui aveva rifilato un corredo funerario in oro, sostenendo che proveniva da una sepoltura dinastica dellantico Egitto.
Le indagini sono state coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma e, successivamente, da quella di Tortona e si sono potute avvalere dellausilio delluniversità del Medio Oriente e di numerose istituzioni internazionali. Tutte concordi nel bollare come falsi clamorosi quegli oggetti che il sedicente cattedratico si era fatto strapagare e che, invece, erano «made in China».
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