Guasto al cargo, Taranto affoga nel petrolio

TarantoLa chiazza è nerastra, una gigantesca macchia che striscia silenziosa, si fa largo all’ombra degli enormi scafi delle navi adagiate come giganti addormentati sul bacino del Mar Grande: così lo spettro del disastro ambientale adesso si riflette nello Ionio che bagna la costa di Taranto, dove ieri mattina è stata scoperta una fuoriuscita di petrolio greggio dal mercantile «East castle» battente bandiera panamense. Venti tonnellate si sono riversate in acqua su una superficie di circa ottocento metri quadrati. Sul posto sono intervenuti gli esperti dell’Arpa, motovedette della Capitaneria di porto, imbarcazioni della società Ecotaras specializzata in questo tipo di interventi di bonifica: è cominciata una lunga operazione per contenere i danni e già in serata almeno la metà del petrolio finito in acqua era già stata recuperata. Ma la lotta contro il tempo va avanti, e le preoccupazioni restano.
L’incidente si è verificato durante la notte tra mercoledì e giovedì. Ma solo ieri mattina è scattato l’allarme grazie all’equipaggio di un’altra nave che era ormeggiata nei pressi del mercantile panamense in Mar Grande, in corrispondenza del terzo sporgente del porto. In un primo momento si era diffusa la notizia di una possibile falla sulla «East castle», ma l’indiscrezione è stata smentita dalla Guardia costiera dopo un’ispezione a bordo. «Le cause sono da accertare, forse si è trattato di una procedura sbagliata», spiega il capitano di fregata Francesco Russo. Non si sarebbe tratto di una falla, ma di uno sversamento creatosi durante le operazioni di trasferimento del gasolio.
Sul posto è arrivato anche l’assessore regionale all’Ambiente, Lorenzo Nicastro. Che parla apertamente di «errore umano».
La prima mossa è stata imprigionare il greggio fuoriuscito per tentare di circoscrivere la zona: per questo sono state sistemate barriere galleggianti per frenare l’avanzata del petrolio. E così l’area del disastro è stata delimitata. Subito dopo sono state attivate le macchine per aspirare il combustibile. «La situazione è costantemente sotto osservazione», assicura il direttore regionale dell’Arpa, Giorgio Assennato. Il liquido finito in mare è piuttosto denso, e questo ha facilitato le operazioni di recupero. Che comunque non sono facili e non si concluderanno prima di oggi. Nel frattempo sono scattate le indagini da parte della procura di Taranto.
Il mercantile, ottomila tonnellate per 133 metri di lunghezza, era giunto a Taranto l’8 aprile ed era rimasto in rada: a bordo dovevano essere caricate diecimila tonnellate di laminati d’acciaio dell’«Ilva». La zona attorno allo scafo è stata controllata anche dai sub e dopo il sopralluogo della Capitaneria di porto è stato chiarito che a bordo non c’erano falle. E così, ormai prende sempre maggiore consistenza l’ipotesi che il disastro possa essere stato prodotto da un errore di manovra nell'apertura delle valvole tra i serbatoi di zavorra e quelli di greggio.
Un’altra emergenza ambientale era scattata a Taranto il 19 gennaio, quando una chiazza oleosa era stata avvistata in Mar Grande non molto distante dalla riva. Anche in quella circostanza erano intervenuti i tecnici della Ecotaras e dell’Arpa, che avevano circoscritto l’area provvedendo ad assorbire la sostanza con speciali cuscini. Che rapidamente si erano colorati di nero.

Intanto, mentre proseguono le indagini sull’ultimo incidente, Legambiente lancia l’allarme e invoca «un'attenta operazione di presidio del territorio mare e di attento controllo e monitoraggio dello stato di salute delle acque».

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