Prima di guidare Israele Olmert vuole assicurarsi il controllo del partito

Il ministro della Giustizia Livni, «pasionaria» cresciuta negli uffici civili del Mossad, sa mescolare durezza e rabbia a moderazione

Gian Micalessin

Se supererà la prova nessuno potrà rimproverargli di non essersi meritato la poltrona. Sharon non poteva scegliere un momento più difficile per lasciarlo solo al comando. Ehud Olmert ha davanti a sé una montagna di difficoltà e dietro ben pochi gregari disposti a spingerlo verso la vetta. A 60 anni suonati deve, per la prima volta, affrontare decisioni da cui dipendono il destino del nuovo partito Kadima, dello stato d’Israele, del problema palestinese e dell’intero equilibrio meridionale. Insomma, più che una prova un’ordalia. Un’ordalia con i tempi da gran premio.
Entro la prossima settimana Olmert (che ieri ha incassato una promessa di tregua dai laburisti) deve designare la classe dirigente di Kadima e prepararsi ad assumere la carica di primo ministro effettivo per traghettare il paese alle elezioni del prossimo 28 marzo. Prima di dedicarsi alla campagna elettorale dovrà però affrontare il nodo del voto palestinese del 25 gennaio decidendo se permettere od ostacolare la partecipazione di Hamas alle elezioni e se dare il via libera al voto arabo nei quartieri di Gerusalemme Est. Il tutto gestendo i rapporti con gli Stati Uniti, rispondendo alle sollecitazioni di una Condoleezza Rice che già lo testa telefonicamente e mantenendo sotto controllo la crisi aperta dalla minaccia atomica iraniana.
Ehud Olmert in verità non è un pivellino. Nei dieci anni da sindaco di Gerusalemme ha incontrato le più importanti personalità internazionali apprendendo le regole della diplomazia. Ma il vero banco di prova sono stati i mesi intensissimi vissuti al fianco di Sharon dopo la nomina nel 2003 a vice primo ministro. Al fianco, in groppa e spesso sotto i cingoli di quel premier «bulldozer» Ehud Olmert ha stimolato, condiviso ed ispirato decisioni cruciali riguardanti la sicurezza e le relazioni internazionali fino alla rivoluzione conclusa con il ritiro da Gaza e l’uscita dal Likud. Olmert non ha, però, mai deciso veramente. Fino a oggi l’ultima e unica parola spettava solo ad Arik. Per sostituirsi al demiurgo e dimostrarsi in grado di reggere Kadima, Israele e il Medioriente Olmert dovrà circondarsi di collaboratori fidati.
Dentro Kadima il suo principale rivale è il ministro della Giustizia Tzipi Livni. Quella donna più giovane, ma forse meno esperta e meno abile di lui possiede in cambio il carisma che madre natura ha negato all’ex sindaco di Gerusalemme. Con il tempo potrebbe anche strappargli le redini del partito, ma di fronte alla tragedia del capo in agonia s’è impegnata a non correre per la poltrona. Per prevenire pericolose transumanze, Olmert ha già affidato la campagna elettorale ad Tzachi Hanegbi il transfuga più vicino ad un rientro nel Likud. Ora potrebbe accogliere nel partito l’amico ed ex premier laburista Ehud Barak e inserirlo al vertice accanto a Dan Meridor, un ex-ministro uscito da molti anni dal Likud e considerato l’ispiratore dei piani di ritiro unilaterale da Gaza e dalla Cisgiordania . Con i due al fianco potrebbe controbilanciare la fascinosa Livni e dedicarsi al nuovo esecutivo affidando la poltrona di vice premier a Shimon Peres e confermando quella della difesa a Shaul Mofaz. La presenza del decano della politica israeliana lo aiuterebbe a gestire i rapporti internazionali e affrontare il nodo palestinese mentre Shaul Mofaz continuerebbe a gestire la macchina da guerra.
Intanto dovrà decidere se aiutare Mahmoud Abbas gratificandolo con un incontro o se invece mantenerlo nel limbo in cui l’ha abbandonato Arik. Isolandolo, ostacolando il voto di Hamas e proibendo il voto palestinese a Gerusalemme est, Olmert rischia di fare i conti con la ripresa degli attentati e nuovi lanci di razzi Qassam. Evitando il difficile test della sicurezza e avviando subito una politica di concessioni Olmert rischia di perdere la fiducia di un elettorato abituato al ruvido decisionismo di Arik. Come se non bastasse Olmert non può sottovalutare la minaccia di una Al Qaida sempre più vicina.

Per prevenire e rintuzzare la minaccia terrorista Olmert dovrà sfruttare al meglio l’assennatezza di un capo di Stato maggiore come Dan Halutz dimostratosi insostituibile nel gestire il ritiro da Gaza. Ma non potrà fare a meno dell’ aggressività e della spregiudicatezza di Yuval Diskin e Meir Dagan, i due abili, quanto insidiosi falchi messi da Sharon alla guida di Shin Bet e Mossad.

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