Dio ci guardi dai governi tecnici. Già nel nome, l’inganno. Tecnico, dà l’idea di un governo di esperti lontani dai partiti. Vero, l’opposto: l’esecutivo tecnico è in balia dei partiti, perché nasce in Parlamento, non dalla volontà popolare. Berlusca è uscito dalle urne, il suo sostituto - Mario Monti o Pinco Pallino - sarà invece un’invenzione del Palazzo. Nella Prima Repubblica c’erano i governi balneari. Con la Seconda hanno fatto capolino i governi tecnici. Che sono - dato il nome altisonante - dei balneari col pennacchio, ma hanno la stessa funzione: prendere tempo.
Il primo fu il più disastroso. Venne affidato a Giuliano Amato che non era un tecnico ma un politico, come politici erano l’alleanza - un normale quadripartito - e i ministri. Fu detto tecnico perché era un ripiego. A Palazzo Chigi puntava Craxi, tallonato dai dc. Ma poiché le toghe di Mani Pulite avevano messo Bettino sotto tiro, il presidente Scalfaro gli disse: «Tu, no. Dammi tre nomi, tra questi sceglierò il premier». «Amato, De Michelis, Martelli. Non necessariamente nell’ordine», rispose Craxi che, con questo, voleva escludere Amato. Allora Oscar Luigi, per fargli dispetto, lo nominò.
Giuliano inaugurò una triste caratteristica del governo tecnico che lo distingue dal balneare. Quest’ultimo era felicemente breve. Come dal nome: il tempo di andare al mare e farla finita a settembre. Amato, invece, restò in sella dieci mesi che parvero un decennio. E gli altri tre «tecnici», anche di più.
L’11 luglio del '92, - due settimane dopo l’insediamento - il neo premier prelevò il sei per mille da tutti i c/c italiani. Per essere certo di beccarci in massa, retrodatò l’efficacia del diktat alla mezzanotte del 9 luglio. Ossia, ci depredò di notte. «Ho messo i conti a posto», si giustificò Amato. Non era vero e si vide subito. Gli era invece riuscito di prendere a pedate il patto con i cittadini, inimicandoli con lo Stato per una generazione.
Messi i conti a posto, arrivò il 14 settembre ’92. Quel giorno - un po’ come in questi - ci fu un attacco della speculazione sulla lira. La Banca d’Italia di Ciampi, su impulso di Amato, spese migliaia di miliardi per difendere inutilmente il cambio. Gli affaristi si arricchirono e un paio di mesi dopo la lira svalutò del trenta per cento. Ci ritrovammo in braghe di tela.
Anche il governo che seguì, presieduto da Carlo Azeglio, fu definito tecnico. Lo era nel senso che il nuovo premier veniva da Bankitalia e aveva la tessera della Cgil e non quella del Pci. Per il resto, era un’ammucchiata che più partitica non si può. Dalla Dc al Pli, fino al Pds e Verdi, entrambi per la prima volta in un esecutivo repubblicano. Fu Ciampi a tirare fuori dal cilindro Vincenzo Visco per le Finanze e ne vedemmo per la prima volta la faccia inquietante. Per grazia di Dio, la cosa si fermò lì. Il primo atto del governo Ciampi furono infatti le dimissioni dei ministri pds (tra cui Dracula) e verdi (Rutelli). Una protesta verso la Camera che aveva rifiutato ai pm di Milano l’autorizzazione per procedere contro Craxi.
L’ultimo atto fu invece il maxi favoreggiamento di Carlo De Benedetti. Berlusconi aveva già vinto le elezioni ’94 e si apprestava a sostituire Ciampi. Nell’ultima notte (sempre di notte questi tecnici. Riflettiamo prima di ricascarci) a Palazzo Chigi, Carlo Azeglio decretò De Benedetti vincitore della gara di secondo gestore della telefonia mobile. L’altro concorrente era il Berlusca. De Benedetti sborsò per la concessione 750 miliardi di lire (diluiti in 14 anni) e rivendette poco dopo per 14mila miliardi alla tedesca Mannesmann. Però, l’ingenuo Ciampi!
Tecnico, tecnico, fu invece il governo Dini che sostituì il Cav dopo il ribaltone della Lega di fine ’94. Nessuno dei componenti era parlamentare. Gente di Palazzo, come Frattini, nomi chic, come Susanna Agnelli, professionisti vari. A questa compagine va dato atto di avere fatto una mini riforma pensionistica che ci ha più o meno portato fin qui. Fu anche fatta una porcheria al Guardasigilli, Filippo Mancuso. Trovando ignobili i metodi di Mani pulite, l’ex magistrato ordinò un’ispezione. La sinistra si mise di traverso, Dini fu coniglio, e Mancuso, sfiduciato dal Senato, dovette dimettersi. Comunque, il senso del governo Dini fu di rinviare di un anno le elezioni per permettere a Romano Prodi di diventare capo della sinistra, riscaldarsi i muscoli e imporsi alle urne nel '96. Tutto qui. Come si vede roba molto partitocratica.
Stesso compito di prolungare la legislatura (situazione analoga all’attuale) ebbe il quarto governo tecnico, secondo di Amato (2000-2001).
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