Lemigrazione romena ha creato unaccresciuta aggressività criminale unemergenza, come susa dire oltre che in Italia, anche in Germania, Francia, Inghilterra. Ovunque i campi rom sono diventati centri di malaffare e dirraggiamento di violenze diffuse. Agli schemi operativi dei nomadi, spesso dediti ai furti (un tempo di cavalli, oggi di auto e moto) e allo sfruttamento della mendicità organizzata, si è affiancato il talento di criminali romeni che nomadi non sono e che trovano meno rischioso operare in nazioni più ricche e più lassiste della loro terra dorigine.
Nel nostro Paese ormai i romeni sono al primo posto nelle statistiche su omicidi, violenze sessuali, rapine.
Nei primi sei mesi del 2007 - dopo che col primo gennaio scorso si è allargata lUnione Europea e si sono, quindi, aperte le frontiere in Romania, invece, si è registrata una sensibile riduzione della criminalità: furti e scippi calati del 26 per cento, pressoché scomparse le rapine, in calo anche le violenze sessuali. Miracolo a Bucarest? No, molto più semplicemente la Romania ha risolto il problema della sua criminalità esportandola. A bandito che fugge ponti doro. Ci sono fondati motivi per ritenere che le autorità rumene, pur menando vanto di una severità coi delinquenti superiore alla nostra, abbiano favorito lesodo, magari dimenticando che qualcuno dei «turisti» aveva dei conti da regolare con la giustizia del suo Paese. Come Nicolae Romulus Mailat, il massacratore di Tor di Quinto. È legittimo sospettare che poliziotti e amministratori delle province romene abbiano sospinto i cattivi verso le frontiere, come si fa coi tonni quando li si induce a istradarsi verso la tonnara, solo che in questo caso le vittime siamo noi.
È accaduto spesso che in terre demigrazione si registrasse questa selezione alla rovescia, per liberarsi dei soggetti ritenuti più pericolosi per lordinata convivenza. Per questo sono difficili e dincerta efficacia i patti che si stringono coi governi dei disperati che premono alle frontiere dellEuropa.
Gli esempi storici non mancano. Anche la Cuba rivoluzionaria di Fidel Castro ritenne conveniente anni fa scaricare, con regolare visto, sulle coste della Florida legioni di ladri, ruffiani, spacciatori di droga, autori di violenze sessuali. Va detto, pure lItalia di fine Ottocento, durante lepopea dolorosa di «Partono i bastimenti», agevolò lesodo di mafiosi e criminali. In tanti paesini del Mezzogiorno i cattivi soggetti ottennero dal sindaco la «fede di buona condotta», indispensabile per il rilascio dei passaporti. E fedine penali immacolate che li ponevano al riparo da provvedimenti despulsione nei Paesi di destinazione.
Linvestigatore italo-americano Joseph Petrosino, che a New York era impegnato nella lotta alla Mano nera e alla mafia, intuì lesistenza di questo scellerato accordo non scritto fra guardie e ladri e simbarcò per Palermo. Voleva mettere le mani sui certificati originali del casellario giudiziario di alcuni mafiosi che spadroneggiavano a New York. Voleva dimostrare che erano entrati negli Usa giurando il falso sulla loro condizione; laccertamento avrebbe reso possibili le espulsioni. Sappiamo come finì: la sera del 12 marzo 1909, nella piazza Marina di Palermo, il poliziotto fu ucciso con tre palle di pistola.
Se la storia può insegnare qualcosa, in questa fase occorre intensificare le pressioni sulle autorità romene, perché stringano i freni e si tengano in casa certi soggetti che proprio da esportazione non sono. Sarebbe anche opportuna una collaborazione più stretta a livello dei ministeri dellInterno.
Salvatore Scarpino
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