Allo scopo di fornire una cornice ideale al nascente Partito democratico, il gruppo di intellettuali che ne hanno steso il manifesto culturale ha scritto: «Ci riconosciamo nei valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, pace, dignità della persona che ispirano la Costituzione repubblicana e nell'impegno a farli vivere in Europa e nel mondo. Questi valori discendono dai molti affluenti della cultura democratica europea. Hanno le loro radici più profonde nel cristianesimo, nell'illuminismo e nel loro complesso e sofferto rapporto».
Ma questa che già è un'operazione politica ardita - unificare due famiglie, una cattolica e una laicista che fino a ieri erano, e ancor oggi sono, contrapposte - è una tesi falsa sul piano storico e contraddittoria su quello culturale. L'illuminismo di cui dicono i nascenti Democratici è in realtà il comunismo di cui essi non possono parlare ma che fanno fatica a dimenticare. È l'idea della liberazione dell'uomo dalla religione, e della religione come mito o oppio o falsa coscienza o residuo primitivo. Ed è l'idea che la religione sia un ostacolo al progresso dell'umanità. Questo però non è l'Illuminismo, è al più la parte degenere e continentale di esso, quella politica giacobina e quella filosofica atea. L'illuminismo, specie là dove nacque, in Scozia, non è ostile al cristianesimo. Il liberalismo, che ne è una sua espressione, è sana dottrina cristiana, perché esalta la libertà dell'individuo affinché, con la sua opera, esalti la gloria di Dio. E lo stesso vale per la democrazia, altra figlia dell'illuminismo, perché si fonda sul concetto di uguaglianza di ognuno, il quale rimanda alla dignità di ogni persona in quanto immagine di Dio.
Quello che gli intellettuali del Partito democratico chiamano il «complesso e sofferto rapporto fra cristianesimo e illuminismo» è in realtà un rapporto di contrapposizione. L'illuminismo continentale prima ha preso la forma di Rousseau, poi è diventato l'umanesimo ateo di Marx, Feuerbach, Nietzsche e di tutti i positivisti. Se davvero si vuol essere democratici, allora si deve riconoscere che mentre il cristianesimo ha prodotto o si è aggiustato alla democrazia, l'illuminismo ateo, no. Né valgono le obiezioni consuete, ad esempio che la Chiesa si è opposta prima al liberalismo poi alla democrazia e sovente al capitalismo (e all'inizio anche a teorie della scienza moderna). Il punto non è la Chiesa delle gerarchie, che è istituzione terrena al pari di altre. Il punto è che il cristianesimo ha concettualmente accolto liberalismo e democrazia mentre l'illuminismo, l'umanesimo ateo, il comunismo li hanno combattuti e respinti.
Dunque, non è che ciò che è venuto dopo il cristianesimo non abbia avuto alcun ruolo per la coscienza europea. L'identità è come la famiglia, si allarga e si sviluppa. Ciò che è venuto dopo ha formato la coscienza europea reattivamente, cioè per contrasto, innesto, contaminazione, ibridazione, sintesi con il ceppo originario. Senza un ceppo originario - i celebri tre colli e le celebri tre capitali - nessuna reazione sarebbe stata possibile. E perciò, a voler parlare seriamente di identità, non possiamo procedere con le alchimie del manifesto degli intellettuali del Pd. Se non si possono fare scelte per non mettere a rischio un'operazione politica che, fondendo due partiti, cerca di mediare fra le opposte provenienze culturali, si deve almeno essere creativi. Ma non si può esserlo fino al punto di riscrivere la storia e di falsificare l'atto di nascita. «Cristianesimo e illuminismo» è come «di lotta e di governo»: un ossimoro.
Eppure, la sinistra cattolica pensa davvero che si possa conciliare cristianesimo e illuminismo. Pensa che il cristianesimo si debba coniugare con la post-modernità. Accetta la scissione fra religione e politica e ritiene che un appello del magistero possa essere disatteso perché viola la «autonomia della politica», cioè la sua piena laicizzazione. Questa sinistra cattolica non crede più che esistano valori non negoziabili. È vittima di quella che Giovanni Paolo II chiamava «l'alleanza fra relativismo e democrazia», cioè che tutto è lecito purché ammesso da una legge approvata da un parlamento.
Quanto alla sinistra laica italiana, essa è l'erede del marxismo, del comunismo e del socialismo. Dovendo ammainare le bandiere o ridipingerle o darsene di nuove, essa ha rovesciato le posizioni di partenza. Quell'Europa che un tempo avvertiva come ostile, perché atlantica, oggi che vuol essere un contrappeso dell'America, è diventata il suo rifugio ideologico. E quel liberalismo che un tempo era il suo avversario, oggi che è scaduto in relativismo e laicismo, è diventato il suo vocabolario. Se si guarda ai punti programmatici della mozione di maggioranza con cui il partito dei Ds si presenta al congresso di scioglimento nel Pd, si coglie bene questo rovesciamento della vecchia tradizione che provoca un effetto di spaesamento in molti dei suoi militanti.
Dopo alcune parole generiche e vuote, buone per chiunque - «il partito delle istituzioni e non del Palazzo, delle regole e non dei divieti, dei diritti e non dei privilegi», ecc. - il primo vero contenuto politico preciso di quella mozione è «un partito laico», il quale ha questi obiettivi: «Riconoscimento giuridico dei diritti delle persone, omosessuali e eterosessuali, che vivono nelle unioni di fatto; disciplina del testamento biologico; norme umane sull'accanimento terapeutico; miglioramento della legge sulla fecondazione assistita; criteri per la ricerca sulle staminali». È perciò - si dice ancora in quella mozione - il partito laico dovrà essere «rispettoso di tutte le chiese e le confessioni religiose», ma «allo stesso tempo, un partito che rivendica a sé quel che solo la politica può e deve fare».
Ma, ci si chiede, illuminata da che cosa deve essere questa politica? Orientata da quali princìpi e valori? Forse dall'uguaglianza di tutti gli stili di vita? Forse dall'uguale rispetto per tutti? Quelli del matrimonio omosessuale come quelli della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio? Quelli della poligamia come quelli del vincolo matrimoniale monogamico? Quelli della parità uomo-donna come quelli della subordinazione della donna? Insomma, i valori dell'Occidente alla pari di quelli dell'Islam? E che vuol dire che la politica sceglie? Vuol dire che vota e conta le teste semplicemente oppure che anche ha qualcosa da difendere, una storia, una tradizione, un'identità? No, l'ossimoro di «cristianesimo e illuminismo» è solo il segno che, oggi come ieri, la sinistra combatte la nostra identità.
Marcello Pera
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