Napolitano liquida Enrico: "Adesso la parola va al Pd"

Il capo dello Stato ha convinto il rottamatore a non chiedere il ritorno immediato alle urne

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

Roma - Già la cenetta con Renzi, lunedì, non è stata un'allegra rimpatriata tra amici. Ma il faccia a faccia con Letta, salito sul Colle alla ricerca dell'ultima sponda, ha dei momenti ancora più spigolosi. Il premier, o meglio, il premier uscente, arriva a metà mattina per raccontare come intende rilanciare il governo e per ripararsi come al solito sotto l'ombrello dei Quirinale. Qualcosa però è cambiata. Giorgio Napolitano lo riceve in fretta, quasi di corsa, perché deve salire sull'aereo per Lisbona o forse perché non ha bisogno delle due ore concesse la sera prima al sindaco per spiegargli di aver cambiato cavallo.
«Enrico, serve una svolta». Serve una mezza rivoluzione, un elettrochoc, per rianimare la legislatura. Letta ha ancora una carta da giocare? Perfetto, spari pure il suo colpo, dicono dal Colle, convinti però che è la mossa della disperazione, che il tempo è quasi scaduto. Va bene, Enrico, provaci, lo esorta il capo dello Stato, ma sappi che dopo, se non funziona, tocca a Matteo. Ovvero, come Napolitano dice in serata ai giornalisti che lo hanno seguito in Portogallo, «adesso la parola è al Pd».
Renzi dunque è nell'anticamera di Palazzo Chigi, in attesa della benedizione finale. Il sorpasso, nelle preferenze di Napolitano, era nell'aria da tempo. Nelle ultime settimane, a mano a mano che calava la diffidenza del Quirinale nei confronti del «bimbo» di Firenze, scendeva pure la capacità di governo di Letta. Napolitano tuttora considera, in mezzo alla crisi economica, la stabilità un presupposto per risalire la china. Niente vuoti di potere, i mercati ci punirebbero subito.
Però, siccome tra la stabilità e l'immobilismo c'è qualche differenza, sul Colle la voglia di continuare a difendere il premier è via via evaporata. Tanto più che l'incontro di lunedì sera ha consentito a Napolitano di mettere un punto fermo: non si va alle urne. Non posso sciogliere ancora le Camere, ha detto al segretario del Pd, nemmeno in una Repubblica delle banane si rivota a distanza di pochi mesi. In Italia non è mai successo. E Renzi a quanto pare ha accettato.
Così, scampato il pericolo principale, il vecchio presidente ha cominciato a vedere il giovane Matteo sotto un'altra luce, non più come incontrollabile Giamburrasca, ma come l'uomo che meglio potrebbe garantire una stagione di riforme, quel rifacimento delle regole e dello Stato che è alla base della sua rielezione. E infatti Napolitano si è informato sulla legge elettorale. Ma c'è di più. Il sindaco di Firenze avrebbe fornito a Re Giorgio anche «ampie rassicurazioni» sui numeri. Al Senato un gabinetto Renzi potrebbe allargare l'attuale maggioranza, agganciando buona parte di Sel. Non sarebbe un governicchio e potrebbe durare per l'intera legislatura.
Per tutti questi motivi Napolitano, con il consueto pragmatismo, si prepara ad abbandonare il «suo» esecutivo per il nuovo che avanza. Eugenio Scalfari, che ci ha parlato in mattinata, rivela come il capo dello Stato stia gestendo il passaggio. «Prendo attentamente nota dei tuoi desiderata - avrebbe detto a Renzi - poi consulterò le parti e farò la scelta più opportuna per il Paese». E ancora: «Il governo dovrebbe presentarsi in Parlamento con la tua visione». Letta però è ancora in sella.

Il Pd deve chiarirsi, fanno sapere da lassù, non può certo essere il presidente a sfiduciare il premier. Ma se Napolitano non gli ha ancora girato le spalle, sicuramente gli ha tolto la tutela. E adesso Enrico deve cavarsela da solo.

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