«Impariamo la lezione, gli incentivi sono inutili»Lo scienziato: «Servono più investimenti per le strutture»

Silvio Garattini, fondatore e direttore dell'Istituto di ricerca «Mario Negri» ed ex membro del comitato di Biologia e Medicina del Consiglio nazionale delle ricerche, ha un parere netto sull'utilità degli incentivi per il rientro dei cervelli: «Servono solo nella misura in cui chi torna trova ambienti adatti a svolgere il proprio lavoro, con le stesse caratteristiche che aveva trovato altrove».
I ricercatori sono rientrati e ora rischiano di dover andare via di nuovo: perché?
«Negli altri Paesi i movimenti dei ricercatori sono spontanei: si va dove si trovano le condizioni adatte. Da noi la situazione è sbilanciata: vanno tutti via ma non viene nessuno perché non si è investito nella ricerca».
Piani come il bando intitolato a Rita Levi Montalcini non rappresentano un investimento?
«No, anche questi incentivi sono una discriminazione: perché si deve favorire chi si è spostato per poi tornare rispetto a chi invece è rimasto in Italia, anche con sacrificio, per tentare di fare qualcosa di utile per il proprio Paese? Non è giusto, e non serve se il ricercatore, rientrato qui perché esentato dalle tasse, poi non trova sbocchi lavorativi».
Il punto, quindi, è essere «appetibili» per la ricerca. Perché in Italia non lo siamo?
«Mancano le istituzioni con l'organizzazione, la struttura e i fondi necessari. Ce ne sono alcune, ma poche. E negli atenei c'è il problema del merito, che non è mai stato il criterio di scelta».
Questo caso sarà un deterrente per gli altri studiosi italiani che stanno valutando l'ipotesi del rientro?
«Forse, ma l'importante, più che la scadenza del contratto, è il fatto che se io ho un'idea devo trovare attrezzature, esperienze e professionalità giuste dove svilupparla».
In altri Paesi la ricerca è meglio pagata, le strutture sono efficienti, i fondi si trovano. Dov'è la falla da noi?
«La politica si è sempre interessata poco alla ricerca scientifica, un po' perché questa ha tempi lunghi mentre i governi hanno vita breve, un po' perché da noi domina una cultura letterario-giuridico-filosofica incapace di vedere nella scienza uno strumento propulsivo, soprattutto in un momento come questo, per favorire l'innovazione. Invece sarebbe importante, visto che abbiamo scarse materie prime e un costo del lavoro alto».
Quanto ci costa questa perdita di talenti?
«Un prezzo altissimo.

Non abbiamo più grandi industrie, nel mio settore siamo in decadenza, destinati a diventare un mercato da aggredire e basta, in cui non siamo protagonisti: le grandi aziende farmaceutiche hanno chiuso i loro laboratori italiani».

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