E ieri almeno per qualche ora un brivido di piacere ha percorso la schiena del centrosinistra. Ma solo per qualche ora. Il patto di ferro tra Pdl e Lega, si son raccontati tra di loro nei quartier generali, sta per crollare. Silvio Berlusconi e Roberto Maroni stanno litigando, si davano di gomito con gran lanci di agenzie per cercare di dimenticare i sondaggi che vedono la Lombardia ormai persa e il Senato in bilico. E soprattutto un Berlusconi ormai in corsia di sorpasso, dopo che in piazza Duomo Pier Luigi Bersani e compagni sono stati costretti a riesumare perfino un dinosauro della politica come Romano Prodi, lo sfortunato antenato dei professori finiti oggi al governo senza bisogno di passare dal voto.
L'ultimo brivido alla sinistra, dunque, lo ha dovuto regalare in mattinata ancora Berlusconi che a Monza parlava davanti alla platea degli imprenditori di Confindustria e spiegava che se vincerà le elezioni il suo governo potrà fare molte cose. E la Lega? Se dovesse creare delle difficoltà, ha assicurato il Cavaliere, «potremmo far cadere le giunte delle tre Regioni e quindi credo che avremo mano libera». Chiaro il riferimento ai governatori leghisti di Veneto e Piemonte, a cui con ottimismo aggiunge anche Maroni che almeno per ora è solo candidato presidente in Lombardia. Parole forse un po' dure, magari ispirate allo spirito tutto pratico della realpolitik, ma che certo non spaventano quelli del Carroccio abituati a ben altre ruvidezze. Nessuna dichiarazione ufficiale.
Nessuna risposta al fuoco amico. «È tutto già chiarito - assicurano in via Bellerio -. Siamo alleati e resteremo alleati. A differenza degli altri che si spaccheranno già il giorno dopo le elezioni».
Ci sperano eccome, invece, a sinistra nelle disgrazie altrui. «Qualcosa però scricchiola», volteggia come un rapace Vannino Chiti, vice presidente del Senato e candidato del Pd in Piemonte. Ma l'illusione dura poco. Anzi pochissimo. Una telefonata tra Berlusconi e Maroni mette immediatamente tutto in chiaro. E già nel pomeriggio il bagno di folla alla Fiera di Milano rinsalda ancor di più, se ce ne fosse stato bisogno, l'asse del centrodestra tornato extra large. «Perché la nostra alleanza - spiega un colonnello lombardo del Pdl - non si basa sulle parole, ma sui fatti e su un programma comune». E così l'unico rischio di incidente diplomatico è quel Fratelli d'Italia, nel senso di inno nazionale, sparato a tutto volume all'inizio della convention. Maroni non si fa vedere per qualche minuto e tutto finisce lì. Poi l'abbraccio sul palco.
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