Il tanto celebrato «arancione Pisapia» che meno di due anni fa tingeva piazza Duomo, mentre dal palco Vendola gridava con intollerabile arroganza «Abbiamo espugnato Milano!», il colore ambiguo di quelle bandiere e di quelle sciarpe va ogni giorno di più mutando verso il rosso. Rosso sangue. Negli ultimi sette mesi 5 morti decine di feriti, sparatorie, aggressioni e violenze quasi quotidiane nelle strade di Milano. Le statistiche ufficiali fornite dalla Questura, che pretendono di essere rassicuranti garantendo, in sostanza, che «altrove è peggio» non fanno che aumentare l'irritazione e il senso di insicurezza dei milanesi. Le statistiche, d'altra parte, sono numeri freddi che non tengono conto della qualità dei singoli episodi, del profilo umano delle vittime, dell'impatto sociale del singolo episodio criminale. Insomma, le statistiche non solo non rassicurano ma non spiegano nulla. E si chiede aiuto alla tecnologia, che però non basta, ammesso che funzioni. Telecamere ovunque danno un continuo senso di violazione della riservatezza, un «grande fratello» diffuso, salvo poi scoprire che quando dovrebbero essere utili alle indagini sono fuori servizio, come nel caso dell'orefice di Brera massacrato nel suo negozio.
Inutile tentare di spiegare a chi è imbevuto di ideologia e di sociologismo da quattro soldi che la sicurezza è prima di tutto una sensazione, una percezione. Non è necessario essere scippati o violentate almeno una volta per poi sentirsi insicuri. È l'ambiente, è lo stato d'animo collettivo che dà questa sensazione. La quale si crea per effetto di notizie, informazioni, immagini, situazioni che caratterizzano tutte le nostre giornate. Chi ha ottusamente imposto il ritiro dei militari dalle strade sottostando al più becero e puerile pregiudizio ideologico, secondo cui le uniformi evocano la guerra se non il golpe, non sapeva, non poteva capire che sensazione di sicurezza, di protezione, di tutela davano invece, ad esempio, ad una donna che rientra a casa col buio. Eppure, per capirlo, bastava chiedere in giro, magari proprio agli abitanti di quelle periferie che la giunta Pisapia dice di portare sempre nel cuore ma delle quali non si è mai occupata davvero.
Tutti abbiamo notato l'esponenziale aumento dell'accattonaggio di ogni tipo e tecnica nelle nostre strade. In corso Buenos Aires, la via più frequentata di Milano, ogni 30 metri si rischia di inciampare su un accattone sdraiato o inginocchiato per terra. Non si fa un viaggio in metropolitana senza che qualcuno ci chieda dei soldi, sul mezzanino della stazione, sulle scale, nella carrozza. E la balla giustificazionista è sempre la stessa: «È effetto della crisi». Una comodissima spiegazione passe-par-tout di cui anche noi giornalisti facciamo un uso smodato. Ma è evidente che si tratta di accattoni abituali, di «professionisti», quasi tutti legati a un racket, quindi non sono arrivati sui nostri marciapiedi per effetto della crisi ma semplicemente perché ora sono tollerati, perché sanno che la guardia è stata abbassata. Ebbene, anche questi squallidi spettacoli offerti dalle nostre strade aumentano il senso di insicurezza perché sono il primo e più immediato sintomo di una città non tutelata, abbandonata a se stessa, lasciata andare fino alla sciatteria.
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