C'è una sequenza temporale che può aiutare a interpretare l'ennesimo venerdì nero, a capire da cosa sia stata innescata l'ondata di vendite di ieri sui mercati azionari e dei titoli di Stato. Fino a mezzogiorno le Borse erano «piatte», come si dice in gergo, e lo spread italiano in linea con i valori della vigilia, intorno ai 475-480 punti. La calma era attribuita, nelle sale operative, all'attesa per la decisione dell'Eurogruppo sul via libera agli aiuti per le banche spagnole.
Poi, nel giro di un paio d'ore, è cambiato tutto. Paradossalmente quando, da Bruxelles, è arrivato proprio l'atteso via libera, pochi minuti prima delle 14: in quel momento i mercati hanno accelerato al ribasso e gli spread italiani e spagnolo si sono avvicinati in un attimo ai livelli di allarme rosso, rispettivamente, di 500 e 600 punti. Cos'era successo? Niente, questo è il problema. Con la sua non sempre comprensibile razionalità, il mercato ha immaginato che dall'Eurogruppo dovesse arrivare qualcosa di più. Probabilmente qualche elemento di chiarezza sul funzionamento del Fondo Salva Stati che, invece, è rimasta un'iniziativa sulla carta: a distanza di 3 settimane dal vertice nel quale Monti, in asse con Hollande, avrebbe messo nell'angolo la Merkel - ottenendo per il fondo Esm un ruolo di difesa dei bond di Stato senza per questo richiedere il commissariamento del Paese coinvolto - nulla ancora si sa su come agirà il fondo. E su quando. E lo si visto ieri, altro che salva spread. Pochi minuti dopo la frittata era fatta: poco prima delle 15 si è saputo che la Regione di Valencia, in Spagna, aveva chiesto il salvataggio allo Stato centrale, per far fronte alle scadenze dei debiti 2012. E nel giro di pochi minuti i mercati si sono messi a bruciare i soliti miliardi del venerdì, giornata particolarmente fragile perché molti investitori e operatori sono già nel week end. Se poi il venerdì è di fine luglio, il gioco è fatto: gli ordini di vendita trovano controparte con grande difficoltà. Per il mercato azionario italiano ci vuole poco a perdere il 4 per cento. Così come non è niente, per le grandi banche o per le Generali, lasciare sul terreno il 10 per cento. È pazzesco, ma è così. Il motivo è semplice: chi compra o vende l'indice di Milano, compra o vende le banche di cui è composta in gran parte la capitalizzazione di Piazza Affari. Quindi, essendo le banche strapiene di titoli di Stato, ci vuol niente a tirare giù la Borsa italiana. Anche perché a questi prezzi, le oscillazioni attuali sono amplificate del 60-70% rispetto ai valori di qualche anno fa. Si pensi, per esempio, che la perdita di ieri dell'indice Ftse-Mib di circa 600 punti, se adesso vale il 4,3%, prima della crisi iniziata 5 anni fa pesava poco più dell'1 per cento.
Cosa succederà ora? Come riapriranno i mercati lunedì? C'èpoco di positivo da aspettarsi: nella City milanese la maggioranza degli addetti ai lavori è convinta che sia già inizito l'agosto caldo, dove ci sarà da aspettarsi di tutto. Anche perché gli eurocrati hanno ampiamente dimostrato la loro incapacità ad difendere l'euro. Il superamento al ribasso del minimo toccato dall'indice di Borsa italiana il 9 marzo del 2009, a quota 12.332 punti, è ormai a un passo: dista meno del 6% dai 13 mila punti toccati ieri. È opinione diffusa che si andrà sotto.
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