Se il Tar condanna i burocrati a rimborsare il tempo rubato

Il Comune dell'Aquila pagherà 20mila euro per una pratica in ritardo di 11 mesi. Sarebbe un diritto di tutti i cittadini. Invece è un'eccezione

Se il Tar condanna i burocrati a rimborsare il tempo rubato

Il Comune di Gallipoli manda la richiesta di pagare una multa insoluta di quattro anni fa, tu rovisti nei cassetti per un'ora e trovi la ricevuta di pagamento. Ma sull'ingiunzione non c'è scritto a chi rivolgersi e ti tocca una lunga ricerca di un fax, una mail, un numero amico a cui appigliarsi. Altro tempo bruciato. La società di riscossione del Comune di Rimini invia una cartella esattoriale pretendendo crediti antidiluviani e non dovuti. Non resta che ricorrere al giudice di pace: via altro tempo (e soldi). Sono solo esempi (veri) di ciò che capita a chiunque in Italia, continuamente. Perché il cittadino vessato dalle tasse ancor prima è vittima di un furto di tempo da parte della pubblica amministrazione più barocca, logorroica, inefficiente e arrogante dell'universo. Quando hai torto devi pagare. Ma se hai ragione, chi ti risarcisce il tempo perduto?

Un benemerito giudice amministrativo aquilano ha vergato in una sentenza parole che andrebbero incise sulle tavole della legge. O forse sulla fronte dei nostri burocrati. Il magistrato ha riconosciuto a un cittadino 19.500 euro di risarcimento per il tempo perso a causa del ritardo del Comune aquilano nel dare via libera ai fondi per ricostruire un ufficio crollato dopo il terremoto del 2009. Il municipio avrebbe dovuto valutare la pratica entro due mesi, invece ci ce ne ha messi 13. Chi restituisce la perdita di tempo (e la pigione dell'appartamento preso in affitto per poter continuare a lavorare)? Nessuno. Al ricorrente, Rodolfo Ludovici il Comune risarcirà il denaro sprecato ma non il tempo perduto a rincorrere impiegati comunali, a blandire funzionari, a sostenere le proprie buone ragioni con quintali di carta e telefonate. Però Ludovici ha incassato almeno un rimborso morale non da poco: veder riconosciuto da un giudice che il tempo di un cittadino vale «quale bene della vita in grado di incidere sulla progettualità del privato e sulla libera determinazione dell'assetto dei suoi interessi - si legge nella sentenza numero1064.- Il ritardo nel procedimento viene pertanto a rappresentare giuridicamente un danno (...) in quanto motivo di forte condizionamento della vita». Dunque stavolta un magistrato ha riconosciuto l'esistenza di un diritto alla tutela del tempo contro i soprusi di chi, arroccato nel bunker di uno sportello pubblico, mastica via interi pezzi della nostra vita.

C'è qualche precedente: nel 1992 il Comune di Milano fu condannato a pagare 400 mila lire al signor Giuliano Votta per il tempo buttato a contestare una multa non dovuta. Ma le nostre leggi, ha stabilito la Cassazione, non riconoscono il diritto a difendersi dai ladri di ore. Eppure, recita un citatissimo aforisma di Benjamin Franklin, «se amate la vita non sprecate tempo, perché è ciò di cui sono fatte tutte le nostre vite». Il punto è che noi amiamo le nostre vite, ma la Pubblica amministrazione non ama i cittadini. Anzi, al massimo li tollera e solo in quanto pagatori di ImuIciTasi. Pagare le tasse è giusto, ma basta guardare la tabella in questa pagina per capire che la nostra burocrazia ci impone un balzello speciale, una soprattassa di ore sprecate a superare ostacoli disseminati sulla strada del pagamento di bollettini, moduli F24, Mav e Rav. Un prelievo a cui vanno aggiunte le 400 ore annue che sprechiamo nel traffico, i ritardi dei trasporti, le file inutili al catasto, le attese estenuanti per visite mediche. Una norma che obbligasse i burocrati a risarcire di tasca propria i cittadini per il tempo perso inutilmente non sarebbe l'antidoto minimo di civiltà contro i ladri di tempo? Sarebbe l'unico vaccino contro cartelle pazze e ingiunzioni squilibrate, perché, diciamolo chiaramente: costoro non sentono ragione se non quella dell'obbligo, della punizione, del prelievo forzoso.

Sono prepotenti, costretti ad arrendersi solo in casi eccezionali e solo di fronte a chi ha armi eccezionali. Sapete cos'hanno in comune gli «eroi» citati in questa storia, i signori Votta e Ludovici? Sono entrambi avvocati.

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