Calcio e Pil. Gol ed economia. Dribbling e politica: conviene vincerli o perderli questi campionati europei? La risposta non è così scontata. Il tifoso che si arrampica entusiasta sulla statua di Garibaldi (ce n’è una quasi ovunque) o fa il bagno nella fontana in piena notte non avrebbe esitazioni a rispondere. Ma la domanda non è per lui. Perché quando la nazionale vince o perde, lo fa insieme a chi, più o meno volontariamente, ci ha messo la faccia. Ecco allora che il tifo per la Nazionale può essere a favore o contro, proprio come avviene nelle nostre città durante il campionato. I motivi? C’è solo l’imbarazzo della scelta.
Non è un mistero, per esempio, che nelle file del Pdl, quando domenica sera Diamanti ha uccellato Hart dal dischetto, non sono mancati i maldipancia. Ma come, dice qualcuno: «Vai a vedere che questo professore Monti adesso ti vince gli europei». Sarebbe il colmo: Berlusconi ha governato dal 2001 al 2011 con la sola eccezione del biennio 2006-07, e proprio lì l’Italia è andata a vincere i mondiali di Germania. E la coppa se l’è presa Romano Prodi. Adesso, nel 2012, tocca a Monti? Sarebbe troppo. D’altronde se Sandro Pertini è quasi più famoso per aver esultato come un matto di fianco a Re Juan Carlos al Bernabeu nel 1982 che non per le sue gesta partigiane ci sarà un motivo.
La vittoria contro la Germania e poi, eventualmente, nella finale di Kiev darebbe lustro inimmaginabile a questo governo. Solo lustro? Chissà: per chi crede che le vittorie calcistiche della nazionale abbiano il potere di rilanciare l’economia è nata addirittura una corrente di pensiero accademica, la soccernomics. Il fatto che utilizzi il nome americano per il gioco del calcio, che in Usa si chiama «soccer» perché il «football» è consacrato a un altro sport, la dice già lunga sulla sua autorevolezza.
Ma sorvoliamo e citiamo: secondo una ricerca del 2006 firmata da due analisti della banca olandese Abn Amro, la vittoria della nazionale di un Paese a un mondiale porta una crescita aggiuntiva del Pil pari allo 0,7% rispetto all’anno prima. Oltre a una crescita degli indici di Borsa. La tesi è che la produttività persa dagli spettatori davanti alla tivù viene ampiamente recuperata in termini di Pil con i consumi spinti dall’onda dell’entusiasmo. Questo vale soprattutto per l’Occidente e in Europa in particolare. Per cui l’effetto di una vittoria ai campionati europei tanto dovrebbe valere, o poco meno.
In realtà non c’è alcun riscontro su questo dato. Anzi a guardare cosa è successo negli ultimi anni, non solo non tornano i conti, ma l’affermazione sembra portare anche un po’ di sfiga. Basta guardare la successione delle vittorie agli ultimi quattro campionati tra europei e mondiali: nel 2004, europei in Portogallo, vince la Grecia, che allora aveva un Pil in crescita del 4,7%. Ma taroccato. Nel 2006 ai mondiali in Germania si impongono a sorpresa gli azzurri e quello che è successo dopo lo sappiamo bene, anche se per l’occasione gli economisti di Abn Amro scrissero addirittura: «L’Italia può portarsi a casa la coppa e, in questo modo, contribuire una maggiore crescita europea per ridurre l’instabilità dell’economia mondiale». Centrato.
Nel 2008 di nuovo europei e a imporsi è la Spagna, che fa addirittura il bis ai mondiali del Sudafrica del 2010. Per l’occasione il ministro dell’Industria del governo Zapatero, poco prima della finale con l’Olanda, dichiarò: «Se la Spagna vince la finale bisognerà rivedere al rialzo le previsioni del Pil». Che a malapena nel 2011 è cresciuto dello 0,7%.
Proprio la quota prevista dalla soccernomics. Peccato che è proprio di ieri la richiesta di 100 miliardi di euro di aiuti all’Europa per le banche spagnole.Alla fine i dubbi rimangono. Come i tanti buoni motivi per tifare, magari di nascosto, contro.
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