«Io, Robin Hood, vi spiego perché il futuro è musical»

Ha sconfitto Capitan Uncino in «Peter Pan»; ha dato corpo e anima a un burattino di legno in «Pinocchio»; è stato il venditore-killer nella «Bottega degli Orrori». E oggi, Manuel Frattini, milanese, protagonista assoluto del musical all’italiana, torna sul palcoscenico cittadino nei panni di «Robin Hood», allestimento originale di Beppe Dati (diretto da Christian Ginepro e firmato da Nausica), fino al 1° marzo all’Allianz Teatro di Assago (tel. 02-488577516). Una favola per tutti, dal taglio più cinematografico che cartooniano, dove il leggendario fuorilegge non sarà l’«eroe senza macchia» con il fascino e la prestanza fisica di Sean Connery o Kevin Costner, ma un avventuriero fragile e insicuro, con l’agilità e il guizzo di energia del camaleontico Frattini.
Gambe scattanti, voce brillante e piedi che sembrano volare tra piroette e vorticosi tip tap, Frattini è una vera «creatura da musical»: ballerino, cantante, attore, eclettico showman, ha all’attivo una decina di show musicali e altrettanti riconoscimenti (ultimo, in ordine cronologico, il Biglietto d’Oro per «Peter Pan», quale musical più visto del 2007: 300 repliche all’insegna del tutto esaurito).
E oggi, dimessi i panni dell’eterno fanciullo, indossa quelli del romantico fuorilegge.
«Il mio personaggio, Robin di Locksley, prima che eroe è innanzitutto uomo, con tutte le sue forze e le sue debolezze: si dispera, si emoziona, si innamora. E, ovviamente, sa anche combattere. Abbiamo cercato di renderlo più realistico, più “normale”, e il pubblico sembra aver apprezzato».
Ha cominciato in tv da ballerino in programmi come Fantastico, Pronto... è la Rai, Festivalbar. Poi è passato al teatro. Nessun rimpianto?
«Ho sempre voluto fare musical, sono cresciuto a pane e Fred Astaire; ma da qualche parte bisogna incominciare. Allora la tv dedicava grande spazio alla danza: si lavorava con ballerini professionisti, coreografi internazionali. Oggi il pubblico andrebbe rieducato al “varietà”, con prodotti di qualità. In fondo, siamo conosciuti nel mondo come un popolo che canta e balla: lo dimostra questa “febbre da musical” che sta contagiando un po’ tutti».
Persino i giovani: un pubblico non facile da intercettare...
«Avvicinare i giovani al teatro è una grande responsabilità. Il musical è una macchina da incassi, e spesso nella scelta di un prodotto si guarda più al botteghino che alla qualità, dimenticando che il pubblico è esigente, sa distinguere un buon prodotto da un altro. L’Italia è una delle più grandi importatrici di musical d’Oltreoceano: non ha una tradizione alle spalle, se non quella della commedia musicale alla Garinei&Giovannini; solo in questi ultimi anni sono nati prodotti originali, come Robin Hood o Pinocchio. Il musical è la forma d’arte più completa: unisce danza, canto, recitazione. Occorrono performer preparati in tutte e tre le discipline».
Sul palco reciterà a fianco di Valeria Monetti, ex allieva di «Amici». Cosa pensa dei volti televisivi che debuttano sul palcoscenico?
«Valeria dopo “Amici” ha continuato a studiare. Nove mesi di televisione non preparano al teatro. Molti giovani, grazie alla tv, hanno accesso diretto al palcoscenico senza avere esperienza sufficiente. Va bene il personaggio televisivo, purché sia preparato: penso a Loretta Goggi o Lorella Cuccarini...».
Esistono a Milano scuole ad hoc che preparino a tutte e tre le discipline?
«In Italia manca una formazione specifica sul modello delle accademie statunitensi.

A Milano però un’ottima scuola è la Mts, “Musical - the school”, che io stesso ho visitato nel 2000. Ma il consiglio che voglio dare ai giovani è di studiare, esercitarsi continuamente, e non puntare al successo facile: non è mai duraturo».

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