L’assassino di Sara? L’aveva scoperto il cane

TarantoÈ tornato anche ieri, è spuntato con passo incerto tra i vialoni di Avetrana sotto un cielo nero carico di pioggia: le zampette bianche che avanzano a fatica sull’asfalto scivoloso attraversato dalle auto che sfrecciano e sollevano pozzanghere, il muso rivolto verso il basso, gli occhi tristi che riflettono il dolore del distacco. Lui si chiama Saetta, è un randagio ma è il cane di Sara perché era sempre con lei, perché quella ragazza gentile gli regalava sorrisi e carezze appena usciva di casa: in mattinata è arrivato in via Grazia Deledda, ha fatto ancora qualche metro e si è fermato proprio laggiù, dinanzi al grande portone marrone del garage dove lo zio assassino ha teso la trappola mortale alla quindicenne.
La seguiva ovunque, Saetta. E certamente l’ha seguita anche quel giorno, mentre la ragazza andava incontro all’orrore in un pomeriggio assolato e silenzioso, quando per le strade di questo paese di neanche novemila abitanti a una quarantina di chilometri da Taranto non si muoveva foglia. Le cuffiette alle orecchie, lo zainetto sulle spalle, l’eco dei passi in quei seicento metri verso casa di Michele Misseri dove si sarebbe dovuta incontrare con la cugina Sabrina e un’amica per andare al mare: così Sara è arrivata in via Grazia Deledda, ha fatto tutto il percorso insieme al cane, fino al garage della morte. Poi è scattato l’allarme, sono iniziate le ricerche, un esercito di carabinieri e poliziotti, agenti a cavallo del corpo forestale dello Stato e vigili del fuoco, e anche speleologi: si sono calati nelle grotte e nei pozzi, hanno perlustrato il litorale e la campagna, hanno scandagliato i fondali dello Ionio che bagna questo angolo di Puglia e i canali che attraversano un labirinto di ulivi intervallato da canneti e casolari diroccati. L’unico che è rimasto laggiù è stato lui, Saetta, il pastore tedesco abbandonato chissà quando e adottato da Sara: non si è mosso dal garage perché è lì che lei era andata, non si è allontanato da quel marciapiede, proprio vicino al portone marrone che celava l’orrore, a pochi passi dalla discesa che conduce laggiù, nella cantina dove il mostro ha ucciso.
Aveva capito, Saetta: sapeva che lei, la ragazza che ogni giorno gli tendeva le mani e lo accarezzava non era andata lontano. No, nessuno l’aveva portata via lungo quella strada silenziosa costeggiata da case basse ed eleganti ville come quella dei Misseri; no, non c’era nessun appuntamento segreto e non c’entravano niente neanche i profili su Facebook e neppure le scritte sui muri della scuola, i pensieri che la quindicenne affidava ai suoi diari e i disegni appesi alle pareti della sua stanza traboccante di peluche e sogni ormai spezzati per sempre. Saetta è rimasto proprio davanti al cancello, ma nessuno se n’è accorto; ha seguito Sara fin lì e da lì non è più tornato indietro, si è accucciato perché sperava di vederla spuntare da un momento all’altro dal buio di quel garage, è rimasto là davanti in quelle settimane scandite da speranze e delusioni, voci e ipotesi e silenzi, tutto spazzato via dalla tragica verità affiorata in una caserma dei carabinieri durante l’interrogatorio dello zio assassino, il mostro di famiglia tutto casa e lavoro che forse non ha ancora detto tutto e che ieri, in carcere, si mostrava preoccupato per i suoi seicento alberi di ulivo. «Chi se ne occuperà?», ha chiesto a un agente. Saetta è rimasto solo, ma presto potrebbe essere adottato da un volontario dell’Ente nazionale protezione animali di Otranto.
Intanto, le indagini vanno avanti. I carabinieri del Ris hanno rilevato impronte di diverse persone sul telefono cellulare della vittima, e in queste ore sono stati individuati anche i resti di altri effetti personali che l’assassino ha bruciato dopo l’omicidio.

Ieri la salma della quindicenne è stata tumulata nel cimitero di Avetrana, dove oltre ai familiari tanta gente è accorsa per l’ultimo saluto: sono rimasti in silenzio, sotto gli ombrelli, hanno lasciato fiori e peluche sulla bara bianca, vicino a una grande fotografia illuminata dal sorriso di Sara.

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