Il lavoro sporco dell’energia pulita Schiavi per montare pannelli solari

LecceLavoro sporco dietro l’energia pulita. È questo il sospetto che prende consistenza in Puglia, capitale italiana del fotovoltaico, il nuovo grande affare già finito al centro di aspre polemiche dopo che l’invasione di pannelli solari ha fatto terra bruciata delle distese di ulivi secolari che raccontano la storia di questa terra. Adesso, però, spunta anche l’ombra dei nuovi schiavi: sono centinaia di persone, immigrati in gran parte venuti da Africa e Asia, tutti finiti a lavorare dall’alba al tramonto per realizzare i grandi impianti fotovoltaici che ormai stringono d’assedio buona parte della regione, in particolare il Salento. E così piovono denunce, che hanno inflitto le prime crepe al muro di silenzio e paura alzando il velo sulle storie di sfruttamento quotidiano che si consumano ai margini della green economy.
Il caso è esploso dopo la protesta dei lavoratori impegnati nella costruzione di un megaimpianto in provincia di Lecce. In tanti si sono presentati al commissariato di Galatina per raccontare quello che accade nelle campagne assolate di queste parti, poco distante dalle masserie ricercate dai vip: paga da fame quando va bene, turni massacranti, anzi molto spesso nessun turno perché si lavora sempre e comunque, anche dalle 7 del mattino fino alle 10 della sera.
La procura di Lecce ha aperto un’inchiesta. L’ipotesi di reato è riduzione in schiavitù. E loro, gli immigrati approdati in Puglia, sono i nuovi schiavi: quelli che hanno preso il posto di altri extracomunitari costretti a raccogliere pomodoro nelle torride campagne di Capitanata, quelli che di fatto sono le nuove leve di una catena di montaggio umana che sembra celarsi dietro una terra che è stata terra di accoglienza ma anche terra di sfruttamento.
Le presunte irregolarità fiorite attorno al grande business del fotovoltaico sono già da qualche tempo sotto i riflettori degli inquirenti: richieste di autorizzazione per piccoli impianti che in realtà nasconderebbero strutture gigantesche spezzettate per non dare nell’occhio; e poi i problemi legati al lavoro. Un fascicolo era stato aperto già un mese fa dopo l’esposto di nove pakistani, senegalesi, kenioti e marocchini; poi sono arrivate altre segnalazioni e le storie degli immigrati di Galatina, storie che si assomigliano e raccontano di ore e ore trascorse a montare pannello dopo pannello con paghe ridotte al minimo e spesso anche senza ricevere un centesimo. I disperati del fotovoltaico sono centinaia. Molti di loro, sostenuti dal sindacato Ugl, si sono affidati a diversi avvocati e dopo le denunce il caso è finito sul tavolo del procuratore di Lecce, Cataldo Motta. Il magistrato, esperto di lotta al traffico di umanità e titolare delle prime inchieste sull’immigrazione clandestina ai tempi dell’emergenza albanese, ha avviato indagini.
Intanto la protesta si è estesa a Brindisi, dove l’altra sera gli immigrati sono scesi in piazza. E così aumenta la tensione in una vasta fetta di Puglia che è diventata la terra delle opportunità per chi vuole lanciarsi nell’affare dei pannelli solari. Basti pensare che solo nella provincia di Lecce sono stati installati 2.597 impianti. Un business che fin dal primo momento ha innescato aspre polemiche. A cominciare da quelle legate al paesaggio. Ma ora diventa sempre più concreta l’ipotesi che attorno all’energia immacolata si sia sviluppata l’ultima frontiera della schiavitù: una forma più moderna di sfruttamento, una specie di caporalato dal volto ecologico e alimentato con criteri manageriali. Per il momento si tratta di sospetti da verificare, ma i drammatici racconti degli immigrati, tutti regolari, si accavallano: c’è chi dice di aver lavorato con una gamba e un braccio rotti perché minacciato di licenziamento, c’è chi da tempo non riceve un euro ma è costretto a lavorare perché ha paura di tornare a casa.

Il fenomeno è ormai all’esame della magistratura, ma sulla vicenda interviene anche il governo. «Mi auguro – dice il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano - che l’episodio trovi in tempi rapidi una sanzione giudiziaria dura, adeguata alla gravità di uno sfruttamento indegno».

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