«Da oggi tutti pancia a terra, se vogliamo vincere al ballottaggio. Noi della Lega l’abbiamo sempre fatto. Forse gli amici del Pdl non abbastanza».
Davide Boni, presidente del Consiglio regionale della Lombardia, indicato da molti come probabile vice sindaco di Milano, in caso di vittoria del centrodestra (ma lui, per la verità, si è sempre schermito al riguardo), fa il punto della situazione. E indica la strada da seguire per confermare Letizia Moratti primo cittadino della città e smascherare il finto buonismo di Giuliano Pisapia.
«Certo, non era facile vincere al primo turno. Ma soprattutto non era facile battere Pisapia. Loro, quelli delle sinistre intendo, sicuramente hanno espresso il massimo per arrivare all’obiettivo. Nel centrodestra, invece, non si è riusciti a motivare tutti, e in più si è commesso il più classico degli errori: sottovalutare l’avversario».
Va bene, presidente, ma fuor di metafora cosa intende?
«Intendo che la campagna elettorale non è stata centrata sui problemi veri della gente. C’è poco da fare: l’analisi è questa, e di lì non si scappa».
E allora che si fa per ribaltare il risultato al rush finale?
«Si fa quello che noi della Lega non abbiamo mai smesso di fare. Si scende in strada, si parla con la gente, ci si confronta, si becca magari qualche vaffa, ma si combatte. Da lunedì i nostri militanti sono in giro per i mercati, nei quartieri, con il consigliere Salvini in testa, a spiegare le cose che l’amministrazione Moratti ha fatto in questi anni di governo e quello che si vorrebbe fare ancora. Insomma, bisogna avere il coraggio di metterci la faccia. Perchè sono capaci tutti di andare in tv a fare dibattiti. Poi, però, le persone non ti vedono più, non hanno più riscontri, e non ti seguono».
Basterà?
«C’è un’altra cosa assolutamente fondamentale. Bisogna convincere la gente a votare Letizia Moratti, anche quelli che non l’hanno fatto al primo turno, o perchè proprio non sono andati alle urne o perchè hanno scelto in buona fede la sirena di Pisapia. E bisogna spiegare alla gente chi è davvero Giuliano Pisapia. Non tanto lui o la sua persona, ma quello che c’è dietro e il modello che rappresenta. Un modello che non ha niente a che fare con Milano e i milanesi, perchè non è il nostro. Perchè Milano non ci si riconosce. Basta dare uno sguardo al suo programma e a quello delle sinistre, per capire tante cose e svegliarsi da un sogno che per questa città rischia di diventare un incubo».
Un programma che fa paura?
«Guardi, è naturale che dall’altra parte della barricata sia più facile dire che non va bene nulla; è nella logica dei ruoli e delle cose. Ma nel programma di Pisapia non c’è niente, ma proprio niente di moderato, al di là del simulacro che la persona offre di sè. Il problema sta proprio qui: nessuno, probabilmente, ripeto, in buona fede, si è mai posto davvero il problema di come sarà Pisapia sindaco e di cosa diventerà Milano governata da uno come lui.
Quale modello?
«Forse una specie di “città aperta”, di laboratorio permanente, di cavia urbana. Del resto, è lì da vedere. Pisapia dietro di sè ha una storia, che non è l’amicizia con quelli del ’68.
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