La legione occulta che toglieva dai guai (soprannaturali) l’imperatore

Occultus in latino vuol dire «segreto», «nascosto»: non ha quindi in origine nulla a che vedere con il sovrannaturale, con la magia e con l’esoterismo, soprattutto in senso popolare e deteriore, come oggi ha (non lo aveva ancora, ad esempio, negli anni Venti e Trenta del Novecento). È il solito slittamento semantico in senso peggiorativo di molte parole.
Sicché Roberto Genovesi con il suo La legione occulta dell’impero romano (Newton Compton, pagg. 324, 14,90 euro) - orribile titolo didascalico, quando sarebbe stato sufficiente un Legio Occulta netto ed evocativo - si riferisce sì al significato originario, ma non può impedire, perché quel che lui stesso scrive lo smentisce, che si pensi anche al secondo senso. Quindi il suo, più che un romanzo storico nel significato pieno del termine, è in realtà un romanzo fantastico, o meglio mitico-fantastico, il che, mi sia concesso, non è certo un farlo scadere d’importanza e di serietà, caso mai oggi ci fosse ancora qualcuno per cui un’opera «fantastica» vale di per sé meno di un’opera «realistica».
La Legione Occulta è dunque quella voluta da Giulio Cesare, poi alle dirette dipendenze dell’imperatore Ottaviano Augusto, quando si rende conto durante la campagna delle Gallie che un ragazzino possiede dei poteri speciali: riesce a entrare in contatto con le divinità, e, a causa di ciò, diventerà muto. Cesare, dopo che il piccolo Madron prima schiavo viene poi liberato da un tribuno delle sue legioni, lo incarica di trovare altri come lui: nell’arco di almeno un ventennio Madron diviene il prefetto Victor Julius Felix e riesce a radunare tra l’Europa e l’Africa un negromante che è capace di passare (quasi come uno sciamano) sul piano del divino a trattare, lusingare e minacciare gli dèi minori dei barbari e portarli dalla parte di Roma; una veggente che può vedere il futuro anche se a breve scadenza; un ragazzino africano che ha potere su tutti i metalli, e così via. La «legione senza nome» è quindi una legione sì «segreta», ma anche una legione che ha poteri sovrumani, sul piano della parapsicologia e del sacro. Augusto incarica i suoi membri di affiancarsi alle altre legioni e di aiutarle a risolvere i casi più difficili, quando sono ostacolate da elementi sovrannaturali: i giovani legionari del prefetto Victor Felix quindi combattono in nome di Roma con armi assai poco «reali» e assai poco «ortodosse», anche se, all’occorrenza, fanno irruzione sul campo di battaglia con le loro corazze bianche, le tuniche nere e i mantelli bianchi, il loro labaro con il motto Vigiles in tenebris, e armi più che concrete.
Ma il loro modo di avvicinarsi alle divinità straniere non piace al collegio sacerdotale romano secondo il quale la Legio occulta «combatte» gli dèi invece di «onorarli» e, anch’esso in nome di Roma e per salvare l’imperatore da un errore considerato fatale, ordisce un complotto che riesce, come il lettore leggerà, solo in parte. È questo uno dei tanti episodi e colpi di scena di un romanzo assai originale, ad ampio respiro, pieno di personaggi, ricco di descrizioni e di invenzioni narrative, pieno di spunti su cui pensare specie sul senso metafisico che ebbero allora la Romanità e l’Impero, ma non perfettamente compiuto, a mio parere, il che gli impedisce di essere una vera pietra miliare nel romanzo italiano fantastico a sfondo storico.
Il fatto è che Genovesi è in alcuni punti caduto nella trappola malefica della «attualità», cioè spesso fa pensare e agire i suoi personaggi non come quelli di duemila anni fa, ma come quelli di oggi; e nell’uso di similitudini e vocaboli fuori contesto storico che, almeno a me, hanno dato un senso di irritante anacronismo.

Non gli sono giovate, insomma quelle suggestioni anche «cinematografiche, videoludiche e fumettistiche» di cui egli stesso parla. Gli identici risultati di leggibilità sarebbero stati raggiunti se avesse avuto meno fretta e più attenzione.

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