Lo erano e lo sono rimasti: ribelli, ammutinati dentro. Le Pitcairns 3 scogli di corallo ed un cuore inaccessibile vulcanico sono il più ruvido degli approdi. A due giorni minimo di navigazione da Mangareva, nell'arcipelago di Gambier, a mezza via fra Tahiti e Rapa Nui, il dna sarebbe stato franco polinesiano, ma quel Fletcher Christian pensò bene di sbarcarvi con il suo Bounty in fuga e, da allora, qui si parla lo stesso inglese settecentesco e ci si appoggia semmai alla Nuova Zelanda per le questioni burocratiche.
Minuscola, meno di 5 chilometri quadrati per 50 abitanti, la decima generazione degli ammutinati al capitano Bligh, l'isola è un mondo a parte. Polli, orto, ottimo miele, web e tv via satellite, dentista, un museo con l'ancora del Bounty scampata all'incendio, e cestini intrecciati per quel centinaio di yacht all'anno che attracca alla fonda: Pitcairn adora l'autosufficienza se non per un cargo che passa quattro volte l'anno.
Sembra un paradiso, ma raramente si è benvenuti, soprattutto se si fanno troppe domande, dopo il 2004 e il mega processo per abusi e pedofilia che ha scatenato metà della popolazione contro l'altra. Accuse in parte ritirate, arresti domiciliari o in un carcere che man mano che si svuota si trasforma in lodge per i rari turisti. La ribalta mediatica fu sgradita assai perché i panni, come in tutte le case, si lavano in casa, anche a queste latitudini e vai a capire un microcosmo basato sulla progenie di un manipolo di fuggiaschi che, nemmeno attraccati in questo eden, seppe andare d'accordo.
Il governo ha bloccato ogni arrivo per evitare il virus, ma per il futuro punta ad arrivare a quota 100 abitanti e incentiva chi voglia trasferirsi qui, anche se avverte: «Pitcairn non è per tutti». Insomma qui le regole le fanno loro.
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