Lotta contro il mondo inseguendo un sogno

«Bar» di Scimone diventa occasione per giocare con il dialetto siciliano

Carlo Faricciotti

Quattro giorni nella vita di due uomini. Due giovani, Nino e Petru, che hanno scelto il retro di un bar per nascondersi dal resto del mondo. Ciascuno con motivazioni diverse. Ciascuno ignorando quasi tutto dell'altro, del mondo, e perfino di sé. Si chiama appunto Bar lo spettacolo di Spiro Scimone in scena al Teatro della Cooperativa di via Hermada 8 (regia di Valerio Rinasco, interpreti lo stesso Scimone e Francesco Sframeli).
Nino, il barista, vive ancora con la madre nonostante l'età, sogna di lavorare in un american bar «dove si preparano gli aperitivi» e ha già la giacchetta verde fatta fare su misura anni prima in attesa dell'occasione giusta. Petru ha venduto tutti i pochi gioielli di famiglia a un piccolo boss locale che gli ha promesso un lavoro, trattenendogli però i primi tre mesi di stipendio, che mai arriverà. Ogni sera quindi va in scena la lotta di Nino e Petru contro il mondo.
Messinesi, ambedue classe 1964, Scimone e Sframeli sono una tra le realtà più interessanti della scena teatrale contemporanea fin da Nunzio, spettacolo scritto nel 1994 da Scimone e interpretato da entrambi. Da quel lavoro, le caratteristiche del loro teatro sono subite chiare: alternarsi di domande logorroiche e repliche smozzicate, dialoghi affannati, faticosi, una lingua ricca di musicalità e di ritmo
Scimone, Bar è un atto unico in dialetto siciliano…
«Il siciliano, come il napoletano, è una lingua forte, intensa, musicale. Ma non solo loro due: tutte le lingue hanno una loro forza, una loro intensità, una loro musicalità. Per questo penso che scrivere testi in siciliano o in napoletano non sia facile. Vedo il testo teatrale come uno spartito musicale, dove le parole sono come note. L'insieme di queste parole deve creare un suono».
Come in altri suoi testi le pause e silenzi giocano un ruolo chiave, nello spettacolo…
«Il teatro, la rappresentazione teatrale esistono solo se e quando si crea un rapporto tra autore, attore e spettatore. Per creare questo tipo di rapporto, di intesa non basta saper parlare, prima di tutto bisogna saper ascoltare. E ascoltare non solo le parole, ma anche e soprattutto i silenzi».


In scena campeggia un universo di solitudine, soprusi, sopraffazione...
«Ma è un mondo in cui c'è anche e ancora spazio per la speranza... Per la speranza di rivivere i grandi sentimenti come l'amicizia, l'amore, la solidarietà».

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