Titolando «Invece delle riforme, la politica italiana è sempre la solita», il Financial Times di ieri ironizza sul ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa: «Raramente la Banca centrale europea perde l'occasione di criticare i politici quando falliscono nelle riforme e nel consolidamento del bilancio nazionale. Ma quando metti un banchiere della BCE alla prova dei fatti, ti accorgi che si comporta come uno qualsiasi dei politici che ha criticato».
Questo è il caso di Padoa-Schioppa che ci deve far riflettere sul mito dei personaggi politicamente corretti e sulle pretese dell'intellighenzia democratico-progressista. Il ministro dell'Economia è stato chiamato al governo di centrosinistra con il rullio dei tamburi e lo squillare delle trombe. Personalità internazionale, con una prestigiosa carriera in Banca d'Italia, membro dell'alta tecnocrazia europea, stimato da Carlo Azeglio Ciampi ed Eugenio Scalfari, il ministro avrebbe dovuto mettere l'economia a posto con il distacco del tecnico alieno dalla bassa cucina.
Invece il nostro sfortunato Paese sta rotolando sempre più in basso su una china che pende dalla parte opposta allo sviluppo. La finanziaria di cui porta la responsabilità Padoa-Schioppa (compresa la condiscendenza verso Visco) non ha visione e missione, scoraggia la ripresa, non taglia le spese, non affronta con efficacia la scuola, le pensioni, la sanità, il pubblico impiego e la finanza locale, fa perno solo sulla manovra fiscale ed a mala pena promette di corrispondere agli standard di Bruxelles.
Si dirà che Padoa-Schioppa non ha responsabilità perché la Finanziaria è stata modellata sull'ala massimalista e populista della maggioranza. Ma se le cose stanno davvero così, il grande tecnico avrebbe dovuto sbattere la porta e dignitosamente togliere il disturbo nell'interesse della nazione. Ma così non ha fatto: fino a ieri il ministro dell'Economia ha preteso di difendere a spada tratta il suo documento, per di più sottolineando che esso serve allo sviluppo, secondo la retorica e il vuoto ottimismo millantati dal premier. «Le critiche alla Finanziaria - ha dichiarato ieri Padoa-Schioppa al Wall Street Journal - non sono basate su una lettura accurata dei fatti», lasciando ancora una volta trasparire quella maldestra protervia che gli viene rimproverata anche da molti suoi amici.
Eppure non siamo noi a bocciare Padoa-Schioppa. Sono le forze produttive, grandi, medie e piccole, sono gli enti locali, sono perfino alcuni tra i sindacalisti responsabili, oltre ai cittadini che vedono lo Stato mettere le mani nelle loro tasche senza alcuna contropartita di riforme, sviluppo e modernizzazione. È il presidente Napolitano che lo «bacchetta», come ha titolato La Stampa; è il Corriere della Sera che ha appoggiato Prodi e la scelta del ministro economico; è il saggio Ferruccio De Bortoli del Sole 24 Ore che argomenta ben al di là di Luca di Montezemolo; e sono molti economisti simpatetici del riformismo di centrosinistra, a cominciare da Nicola Rossi fino ai prudenti Tito Boeri e Pietro Garibaldi, per non parlare di Francesco Giavazzi che ha dovuto scrivere che Padoa-Schioppa ha utilizzato per difendersi «meschine insinuazioni».
Tirando le somme, una vera e propria débâcle, nazionale e internazionale, che aggrava quella personale e politica di Prodi.
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