UNA MANOVRA ALLA ROVATI

Se in questo Paese ci fosse una grave recessione, se l’Italia uscisse da cinque anni di oscurità, se questo Paese, come dice la signora Melandri da Filicudi, fosse stato fuori dall’Europa per una legislatura, bene, se stessimo davvero così, da domani ci dovrebbero essere per strada fiumi di cittadini inviperiti. Purtroppo, si fa per dire, l’economia tira, le casse dello Stato sono rimpinguate da 20 miliardi di entrate inattese, la disoccupazione è ai minimi, e i cittadini italiani passivamente e pigramente accetteranno anche l’incredibile legge finanziaria di Romano Prodi. Con la stessa passività con cui accettiamo le sue risposte sul caso Telecom. Il paradosso è che stiamo troppo bene per avere voglia di dimetterci. Siamo troppo pigri per ribellarci. Ieri il gabinetto Prodi ha trascorso una giornata intera per trovare una mediazione sulla legge finanziaria. Sempre sull’orlo della crisi e sempre con il suo azionista di maggioranza, il sindacato, pronto fuori dalla porta a ritirare la sua delega.
La sostanza della manovra, che è cambiata in corso di giornata almeno tre volte, è in pochi flussi. L’esecutivo ha deciso che qualsiasi lavoratore dipendente che guadagni più di tremila euro netti al mese è un ricco e come tale va tassato. Il lavoratore dipendente quando diventa pubblico merita invece attenzione: sono stati infatti stabiliti aumenti contrattuali per il settore pubblico che dovrebbero arrivare ai 3 miliardi.
I lavoratori autonomi sono per definizione un po’ dei malandrini. Come prima cosa si aumenteranno loro i contributi previdenziali e poi i parametri con cui pagare le tasse: il saldo finale per gli autonomi, e in questo caso senza fare distinzioni tra ricchi e poveri, è un contributo alle casse dello Stato per poco meno di 5 miliardi. Infine i risparmiatori. Per loro era già tutto previsto: il loro titoli verranno tassati al 20%. Si tratta per la verità di un’aliquota in media con quelle europee. Ma va ad incidere su stock di risparmio frutto di un reddito già supertassato.
Il libretto di istruzioni della manovra è dunque semplice: nei settori dell’economia dove Cgil, Cisl e Uil sono forti vi è indulgenza fiscale; dove sono deboli e poco rappresentati giù mazzate. La nostra è una semplificazione. Nelle centinaia di pagine della Finanziaria troveranno spazio mille provvedimenti ragionevoli. E qualche meschina furbata, come quella di tagliare quattrini e trasferimenti agli enti locali, permettendo loro di alzare le tasse. E ci saranno le norme per lo sviluppo.
Eppure ritorniamo dove abbiamo iniziato. La Finanziaria di Prodi è come il piano Rovati: artigianale, ma non nel senso di ben fatto. Con una mano punisce i dipendenti privati e con l’altra trova quattrini per quelli pubblici. Con una mano accarezza i pensionati e con l’altra bastona i lavoratori autonomi.
E quando ci racconteranno che ci sono venti miliardi per lo sviluppo, varrebbe la pena farsi una risata. Lo sviluppo non si fa con le elemosine di Stato. Si fa lasciando le imprese lavorare liberamente, defiscalizzando i lavoratori, snellendo la burocrazie, riducendo le imposte personali.

Il governo Berlusconi che pure ha commesso il peccato mortale di assecondare gli appetiti bulimici della pubblica amministrazione, ha insegnato con la riforma fiscale di Tremonti che riducendo le aliquote fiscali, alla fine il gettito per le casse dello Stato aumenta. Quattrini al vento.

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