RomaÈ come un fiume tracimato dal suo letto, che travolge tutto e tutti. È lenciclopedia completa dei delitti, una collezione di figurine degli orrori: droga e ricatti, corruzione e inganni, prostituzione e sangue. Piero Marrazzo ora è soltanto sullo sfondo, personaggio pubblico il cui coinvolgimento ha fatto esplodere il caso e che oggi non riesce più a uscire di scena.
Tra mille zone dombra e svariati punti interrogativi, tutti si chiedono adesso che cosa pensi lex presidente del Lazio, considerato negli ambienti della Regione ancora il bandolo della matassa, lelemento da tenere a fuoco. Almeno è quello che si vocifera nei corridoi del potere regionale di via Cristoforo Colombo. Dove ieri, ancora una volta, il risveglio della giunta è stato agitato. O meglio funesto, imbarazzante, ma spiazzante solo fino a un certo punto. «Ci stiamo preparando al peggio, non sappiamo fino a quanto potremo andare avanti, fino a quando reggeremo», sibila a mezza bocca un importante funzionario invocando lanonimato. E il discorso non sembra più di tenuta, ma anche e soprattutto di decenza, di responsabilità.
Sì perché è da un pezzo che la vicenda non si risolve nel binomio sesso e soldi, di mezzo ci sono già due cadaveri: Brenda e il suo amico caro, lo spacciatore Gianguarino Cafasso, entrambi collegati alla miccia scatenante, al motore del meccanismo, il ricatto al governatore. «Siamo sicuri che la Regione possa restare in queste condizioni fino alla fine di marzo? Due morti nel giro che frequentava Marrazzo sono decisamente troppi», dichiara senza girarci intorno Francesco Storace.
Lui ci mette la faccia e il pepe, non ha il problema di tenersi saldo alla poltrona, di invocare la discrezione per mascherare limbarazzo. Altri, invece, tremano perché intravvedono contraccolpi pesanti. Si augurano di arginare i danni, che le acque diventino placide prima delle elezioni ormai allorizzonte. Sanno bene che, a oggi, si concluderebbero con un esito scontato, un plebiscito allincontrario, una Caporetto per lattuale maggioranza.
Marrazzo, intanto, tace. Sono giorni che non parla della vicenda e ha fatto capire che vorrebbe restare il più possibile lontano dai riflettori. Ma è come se il destino abbia deciso che ciò non possa accadere. Ora ci sono anche le tracce lasciate da Brenda, quelle che il fuoco non è riuscito a bruciare, che lacqua del lavandino aperto sul suo computer non ha potuto affogare: i verbali degli interrogatori, per esempio, in cui si ricorda che il trans chiamava lex presidente direttamente sul posto di lavoro, non una ma più volte. Oppure le dichiarazioni sibilline, ma dal senso unico, inequivocabile: «Se aprissi bocca io potrei rovinare un sacco di gente». E poi la droga, tanta droga.
Marrazzo ancora tace: si vela dietro il dolore, giustificabile, della sua vicenda privata, del suo sbaglio personale e non va oltre, mentre intorno a lui alcuni pezzi cadono o vengono fatti cadere a forza. Tanto da suscitare la reazione di uno dei suoi avvocati che ieri, dopo la notizia della morte del trans, ha detto: «È un fatto inquietante, un fatto veramente inquietante. Non posso pensare che la settimana scorsa questa persona è stata aggredita e rapinata e da poche ore è morta bruciata. Vanno approfondite le cause, capire cosa cè dietro.
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