Festa grande, oggi, al Senato, provvisoriamente riaperto anche se non per attività legislativa. Contenti come pasque, i grandi padri dell'Europa - da Prodi a Barroso, da Ciampi a Giscard, passando per Andreotti, Colombo e Delors - ne celebreranno in pompa magna le magnifiche sorti e progressive nel 50° anniversario dei Trattati di Roma.
Inutile dire come andrà a finire. Come al solito, la celebrazione servirà a celebrare le idee dei celebranti. Come al solito, si dirà che l'Europa è, in sé, per sé, e di per sé, fattore di sviluppo, di coesione, di pace. E come al solito si sosterrà che occorre andare avanti alla maniera consueta, cioè senza ascoltare nessuno e senza mai sottoporsi ai voti o, quando questi ci sono e sono contrari, senza tenerne conto alcuno.
Che in questa Europa l'eurocrazia prevalga sulla democrazia e gli equilibri di forza fra gli Stati (in particolare le convenienze franco-tedesche) superino sempre i veri bisogni dei cittadini, ai celebranti non importerà. E perciò non si chiederanno se l'Europa abbia una politica estera, se ne abbia una di sicurezza e di difesa, se intenda contrastare il fondamentalismo islamico oppure far la pace con i terroristi o gli Stati-canaglia, se abbia una politica dell'immigrazione e dell'integrazione che ci risparmi la resa e la perdita di identità, se voglia difendere Israele e mantenere saldi legami con l'America, se miri a introdurre almeno un pizzico di riforme democratiche in quei Paesi arabi euromediterranei che sostiene ad alto prezzo.
In particolare, i celebranti, tutti rigorosamente laici o cattolici «adulti» come impongono i comandamenti comunitari, non si domanderanno se la Sacra Costituzione Unita - in particolare la parte seconda, quella che, ad esempio, contiene il diritto di clonazione terapeutica e il diritto al matrimonio omosessuale - sia cosa utile agli europei, oppure inutile, dacché ciascuno di essi, a casa propria, di Costituzioni ne ha già una, costata lotte e sangue, e perciò più sentita, più avvertita, più creduta, di quella cartacea di Bruxelles.
C'è da scommettere che no, che i padri dell'Europa di questi temi non tratteranno, e perciò che non si interrogheranno sulle uniche cose per cui ha un senso tenere o mettere in piedi l'Europa. Del resto, nella già tanto propagandata «Dichiarazione di Berlino» che domenica prossima sarà solennemente sottoscritta da tutti e ventisette i governi c'è scritto: «Noi, popoli d'Europa, siamo di fronte a grandi sfide. La nostra risposta ad esse è l'Unione Europea». Così, senza poter dire quali sfide, e quale Unione, per non scontentare nessuno.
Ai celebranti interesserà più la loro messa cantata che la scrittura, più la loro omelia ben recitata che il credo. Del resto, è sempre così: quando non si sa quel che fare o non si ha forza o voglia di fare, si recitano i salmi, che tanto finiscono sempre in Gloria. Inutile recriminare, l'Europa oggi è questa: poca unità politica, poca identità morale, poca produttività economica.
Marcello Pera
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