Mieli si schiera ancora: «Voto No»

Nuovo «endorsement» del direttore di via Solferino: «Non ho dubbi, sono contro questa riforma contraddittoria»

Paolo Bracalini

da Milano

Prima il referendum sulla procreazione assistita, poi le elezioni politiche, adesso il referendum sulla riforma costituzionale. La seconda epoca di Paolo Mieli alla direzione del Corriere della sera è quella del cosiddetto «endorsement», schierandosi pubblicamente (e schierando il suo giornale) per una precisa parte politica e indicando senza giri di parole gli auspici del quotidiano anche prima dei referendum. Sempre la stessa parte politica, la sinistra. Anche se con qualche ondeggiamento tra i rami dell’Ulivo, camaleontismo sintetizzato da Roberto D’Agostino con il gioco di parole «Mielig». L’ultimo «endorsement» dell’allievo di Renzo de Felice è di ieri, non dalla prima pagina del Corriere, ma ospite di Play Radio (emittente dello stesso editore Rcs). Direttore, cosa voterà il 25 giugno al referendum?: «Non ho dubbi: voterò no - risponde Mieli -. Questa riforma costituzionale è abborracciata e contraddittoria e renderebbe più difficile governare. Il mio non è un no iper-fazioso. Nella riforma costituzionale ci sono molti spunti buoni, ma è una riforma incompleta che, se applicata, renderebbe più difficile governare. Avrei preferito una riforma fatta con più tempo, maggiore elaborazione, con il consenso di parte di quella che allora era l’opposizione». Il centrosinistra appunto.
La presa di posizione di Mieli contro la riforma costituzionale non sorprende. Da settimane il Corriere picchia contro le modifiche alla Costituzione fatte dalla precedente maggioranza, con gli editoriali in prima pagina del politologo Giovanni Sartori, meno conosciuto per la verità come costituzionalista. Ma non potrebbe sorprendere dopo il celebre editoriale dello stesso Mieli, l’8 marzo del 2006 («La scelta del 9 aprile»), i cui - per la prima volta in un voto politico - spiegava le ragioni per cui scegliere l’Unione e bocciare Berlusconi. «Il risultato delle elezioni è ancora incerto - scriveva Mieli -. È questo un buon motivo perché il direttore del Corriere spieghi ai lettori in modo chiaro perché il nostro giornale auspica un esito favorevole ad una delle due parti in competizione: il centrosinistra». L’outing di Mieli, a quattro settimane dal voto, scatenò mille polemiche, i dubbi del patto di sindacato Rcs e degli stessi lettori, con conseguente calo di vendite soprattutto a Milano (ma l’editore non ha mai confermato).
Prima ancora il quotidiano milanese si era schierato in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, contro la legge varata dalla Cdl. Editoriale non firmato (quindi attribuibile alla direzione), in prima pagina, «Le ragioni del nostro Sì», il 14 gennaio 2005. «Il Corriere si impegnerà perché vinca il sì». Non servì a molto visto che il referendum fallì con un’affluenza solo del 25%, da minimo storico. Allora era sbottato il presidente emerito Francesco Cossiga: «Mieli vuole riuscire dove Scalfari ha fallito: fare un suo partito e fino ad ora ci sta riuscendo».

La linea era però quella indicata fin dall’editoriale di insediamento del nuovo (anche se «ex») direttore a Via Solferino: «Quando è giusto - scriveva Mieli il 24 dicembre 2004 - i giornali hanno il dovere, sì il dovere, di prendere posizione senza reticenze». E quando è giusto, per esempio? «Per esempio, in occasione del conflitto di interessi, delle leggi ad personam, della nuova regolamentazione radiotelevisiva».

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