Chi era don Giussani?
«Don Gius era quello che dopo il ristorante mi disse Tu sol pensando - o ideal - sei vero».
Giosuè Carducci?
«Carducci. Ma ti guardava fisso e capivi che stava parlando proprio a te».
Antonio Intiglietta, presidente di Gefi, ideatore dell'Artigiano in Fiera e della prima Wine sharing company nel Salento. Leader di Lotta continua, poi l'incontro con Comunione e liberazione.
In queste ore don Giussani compirebbe 100 anni.
«Era un uomo vero, un uomo che viveva di fede».
Cosa significa?
«Che era carico di attenzione per tutto, per lui anche il più piccolo particolare era il segno della presenza di Dio».
E la sua fede?
«Era esistenziale, senza distinzione tra spirituale e carnale. L'attualità di Cristo non come pensiero, ma come cose da fare. Come relazione con il prossimo, chiunque esso sia».
Affascinava i giovani.
«Era un padre che augurava a tutti di avere un papà e una mamma che non rimandassero a se stessi, ma al compimento del destino di ognuno nel rispetto della libertà».
Perché era un insegnamento così importante?
«Perché il mondo contemporaneo non ha più padri né madri, nessuno che come lui ti inviti a fare un cammino. Don Gius piuttosto stava male, ma non si metteva mai al tuo posto. Voleva che fossi tu a trovare il tuo destino».
Ha prodotto generazioni disposte a cercarlo: nel suo nome e sotto le insegne di Comunione e liberazione.
«Cogliendo i nostri impeti ci ha buttati nell'agone della vita universitaria, sociale, culturale. Ci mandava in tutta Italia a sbattere perché capissimo quello che volevamo».
I ragazzi di oggi?
«La tragedia della scuola, dell'impresa e della società è che non avendo più uomini così, sono abbandonati alla mercé del potere dominante».
Il rischio educativo?
«Lui era un vecchio profondamente giovane, oggi ci sono giovani vecchi. Vi auguro di non essere mai tranquilli, ci diceva. E noi tranquilli non lo siamo mai stati».
In nome di cosa?
«Della tensione al vero che è continuo cambiamento».
Anche quando all'università prendevate le botte da quelli di sinistra?
«Li ho vissuti tutti qui momenti, abbiamo dovuto difendere con le unghie e con i denti la nostra possibilità di esserci. Ma lo facevamo per tutti, anche per chi ci aggrediva».
In nome di Cristo?
«Nel nome di quel destino che si è fatto carne, di quel Cristianesimo che è disponibilità a seguire il cammino della Chiesa senza mai abbandonare il desiderio».
Comunione e liberazione?
«La sfida per don Gius personale. Ma non si può vivere questa tensione da soli, nella drammaticità del reale c'è bisogno di una compagnia».
E oggi?
«La sfida educativa continua a vivere nella fedeltà alla nostra compagnia e alla Chiesa, ma è questo il punto più dolente della crisi antropologica che il mondo sta vivendo».
La sfida educativa è la sfida del Cristianesimo?
«Don Gius era cattolico, ma il suo spirito era universale. Lui aveva la capacità di abbracciare l'altro con rispetto perché riconosceva l'umanità che c'è in ognuno. Il problema non era se uno entrava o no in Cl, ma aiutarlo a tenere aperto il cuore».
Cl ha messo le mani nel mondo: università, politica, amministrazione, sanità, impresa.
«È l'ideale: portare nel mondo il messaggio, ma dentro la dinamica dell'abbraccio».
L'ideale è anche potere.
«La politica deve essere servizio gratuito per il bene della comunità, una forma esigente di carità».
Ci sono state deviazioni.
«Puoi tradire come politico o come imprenditore, così come puoi farlo in famiglia, ma la politica deve essere come dice la Chiesa, esigenza di carità. E penso a uomini come De Gasperi che hanno dedicato la vita all'Italia e all'Europa».
Mica semplice.
«Un compito da far tremare i polsi, ma è questa la sfida».
E l'impresa?
«Fare impresa è un atto poetico, cogliere un'intuizione e trasformarla in realtà».
Più in concreto?
«Contribuire al benessere di tutti: di te stesso, della tua famiglia, dei tuoi dipendenti e anche dell'intera comunità».
Gli imprenditori non sono dei filantropi.
«La vera impresa è per il bene di tutti e il suo fine ultimo è conoscere Colui che ci dà tutto».
Don Giussani teneva molto alla bellezza.
«Perché la bellezza è lo splendore del vero e noi attendiamo quel vero. Se non è tesa alla verità la vita è banale, l'ideale plasma la tua esistenza e quello che fai lo comunica».
Don Giussani era un provocatore.
«Nel senso vero del pro-vocare, del chiederti tu a cosa tendi?, cosa può compiere il tuo cuore?».
Chi era il suo Dio?
«Era Cristo. Non astratto, ma contingente, la compagnia quotidiana presente nella Chiesa di Dio».
Dio è morto?
«Dio è morto per chi lo ha pensato come concetto, come morale o proiezione dei propri pensieri e presunzione di farsi da sé».
Quindi è morto.
«No, quello che è morto è il dio dei pagani. Il nostro compito è far vivere il Dio che in Cristo si è fatto Chiesa. E così attraversa la nostra umanità».
Sempre nel quotidiano.
«In quell'abbraccio del prossimo che è umanità e mi muove verso un rapporto con lui».
Cosa pensava don Giussani della morte?
«La morte è solo un passaggio. Quante volte dobbiamo morire per scoprire qualcosa di più grande?».
Non è facile morire.
«Per creare serve la morte e per questo tendiamo a rimuoverla. Ma è con lei che prima o poi dobbiamo fare i conti».
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