«Non spingeremo per tornare al lavoro prima del dovuto, ma appena si può si torna di corsa, nel rispetto delle regole e della sicurezza» perchè «il lavoro è l'elemento fondante della nostra società, è il nostro credo» ha dichiarato ieri il sindaco Beppe Sala durante un sopralluogo ai cantieri della M4 in via De Amicis che hanno ripreso l'attività il 6 aprile dopo lo stop per emergenza Covid. Circa 750 operai sono di nuovo all'opera, le talpe meccanizzate sono tornate a scavare (dalla prossima settimana anche in De Amicis, dove i lavori sono stati rallentati pure dal ritrovamento di una vecchia struttura medievale realizzata con blocchi di epoca romana). Tappe forzate per recuperare il tempo perso e mantenere la promessa di inaugurare la prima mini tratta da Linate a Forlanini Fs a gennaio. Sala vuol parlare del futuro, «bisogna pensare a una nuova mobilità e investire sulle metropolitane quindi appena possibile ripartiamo con la progettazione esecutiva del prolungamento della M1 fino a Baggio e della M5 a Monza». Il lavoro è (o sarebbe) un credo anche per i titolari di bar e ristoranti della città che fanno i conti della crisi. E vorrebbero scommettere sul futuro ma per ora non vedono la luce in fondo al tunnel. Se le ipotesi di riapertura del governo sono variabili - si passa dall'ipotesi del 18 maggio al 28 giugno o addirittura settembre - i titolari alla canna del gas sono costretti a chiedersi «non quando ma se riusciremo ad arrivare alla fase 2». Epam che rappresenta la maggior parte dei pubblici esercizi milanesi in questi giorni raccoglie sfoghi, preoccupazioni, le modalità di riapertura spaventano alcuni più della chiusura stessa, tutti temono che i costi fissi, con la riduzione dei tavoli per garantire le distanze, saranno insostenibili. Come ha anticipato il presidente delle Imprese storiche Alfredo Zini, «molti stanno pensando di rimanere chiusi almeno i primi mesi perchè le spese della messa a norma rischiano di essere troppo alti». Epam ha calcolato che i posti a sedere nei locali si ridurranno del 65/70%. E oltre all'assenza dei turisti stranieri, data per assodata, c'è l'incognita di come reagiranno i milanesi, se avranno davvero voglia di movida dopo il lockdown o scatterà una psicosi. Già da inizio marzo l'associazione riceve chiamate di titolari che annunciano che porteranno i libri in tribunale o saranno costretti a licenziare personale. I locali si stanno affidando alla «ragionevolezza» dei proprietari di immobili, c'è chi viene incontro e sconta l'affitto, ma «serve un intervento generale del governo in questo senso». Dallo Stato si aspettano la cassa integrazione prolungata ed estesa a tutto il settore e un'iniezione di fondi «seri» a fondo perduto.
Sta montando la rabbia. Michele Berteramo dell'associazione culturale Naviglio Pavese raccoglie nella chat degli operatori «un grossissimo malumore, sto cercando di trattenere chi vorrebbe già scendere in piazza nonostante i divieti, ma la gente è molto arrabbiata e mi preoccupa». Sala ha aperto all'esenzione della Cosap per chi potrà allargare i dehor ma «è uno specchietto per le allodole, una presa in giro - ammette - . Si pensi ai Navigli, non c'è più spazio. Gli chiediamo di cancellare Cosap e Tari pagate anche nei mesi di chiusura e di abbassarle in seguito in base alla riduzione del servizio, sono tasse pesanti, valgono anche decine di migliaia di euro». Premette: «Non ci lamentiamo della non riapertura, crediamo che sarà difficile una ripresa a breve per i luoghi di aggregazione, ma non vediamo aiuti straordinari». Agli associati consiglia di «aspettare ad acquistare i divisori in plexiglass tra i tavoli, spero che il governo non proceda con richieste simili.
I locali saranno già molto penalizzati, bisognerà evitare aperitivi al bancone, ci sono bar molto piccoli che vivono della calca. Sempre ammettendo che la gente verrà e non prevarrà la paura». Anche Sala batte cassa al governo: «Per ora ce la facciamo ma senza sostegni passando i mesi avremo difficoltà a pagare gli stipendi».
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