Domani per «China Night» sarà sul podio dalle ore 20 per condurre la Filarmonica della Scala al Teatro Dal Verme. Già, proprio così.
Festeggiamenti per il 70esimo della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Vista l'occasione un programma ad hoc di autori quali Liu Tieshan e Mao Yuan («Dance of the Yao People»), Chen Gang e He Zhan Hao («The Butterfly Lovers» per violino e orchestra, solista il super-virtuoso Ning Feng), di Ye Xiaogang la Sinfonia «Hero» e di Liu Yuan «Train Toccata». Sotto i riflettori lui, Muhai Tang: il direttore d'orchestra più importante nel suo Paese, la Cina appunto. Il maestro ieri ha accettato di rispondere a qualche domanda prima del concerto.
Maestro è arrivato in Europa grazie a von Karajan.
«Per me Karajan è stato come un padre. Mi ha invitato per due anni consecutivi a seguire tutte le sue prove e i suoi concerti, tra Berlino e Salisburgo. Poi, poco tempo dopo il nostro primo incontro a Monaco, mi disse sei pronto per dirigere, e mi invitò a dirigere i Berliner Philharmoniker ad apertura di stagione».
Lei è il direttore di diverse orchestre nel suo Paese: qual è il livello di partecipazione del pubblico ai concerti?
«In Cina le orchestre hanno livelli molto eterogenei e, allo stesso modo, i pubblici di ciascuna città sono molto diversi tra loro. Per quanto riguarda gli autori eseguiti, abbiamo subito l'influenza russa e per molto tempo sono sempre stati eseguiti Ciaikovskij, Borodin e Shostakovic. Ma oggi il repertorio abbraccia la tradizione occidentale per intero».
Com'è vista, in Cina, la tradizione musicale europea, in particolare quella italiana?
«La Cina è un Paese enorme, ma come mentalità e caratteristiche cinesi e italiani sono molto simili. Sono emotivi. Nel momento in cui tutti i miti italiani Pavarotti, la Freni, l'Opera italiana, la Scala sono entrati da noi trent'anni fa, sono subito stati adottati e amati. Così come sono state amate le grandi orchestre e le compagnie dei teatri d'opera che sono venute a visitarci».
Siamo sempre più vicini: in che modo la tradizione musicale cinese confluisce nella tradizione occidentale?
«Come si vede già in Messiaen e Debussy, è più di un secolo che l'Occidente guarda a Est in cerca di ispirazione e di sicuro c'è molto ancora da sperimentare, in termini di scambio di tradizioni strumentali».
Qual è il volume di studenti di Conservatorio in pianoforte, direzione e violino da voi?
«Difficile dirlo, si tratta senz'altro di milioni. Oggi come oggi le famiglie iniziano ad avere i mezzi per fare studiare musica ai loro bambini».
Possiamo quindi affermare che Lang Lang, che in un recente passato e oggi ha un successo planetario, potrebbe in realtà essere solo «uno dei tanti»?
«L'emergere del talento, nella cultura non è prevedibile come può esserlo nello sport: qui non si tratta di chi corre più veloce, o di fare più note. Molti possono avere grande talento, grande tecnica, altri però avranno una musicalità più profonda. Alcuni potranno avere una carriera visibile come quella di Lang Lang, o di Pavarotti, ma non tutti potranno per esempio avere la loro vitalità. In musica però, per fortuna, il pubblico può apprezzare interpreti molto diversi tra loro. Ma certo è che, sì, in Cina ci sono centinaia di grandi talenti in giro».
Cosa conosce e cosa ama della cultura italiana?
«Fellini e i grandi registi del Novecento, li adoro. I pittori della scuola italiana, come Donatello e Michelangelo, che conosco grazie a mio fratello che dipinge. E Dante che rileggo con costanza. Di Milano conosco da anni il Duomo, che è ammaliante per me; oltre la Scala, che amo profondamente».
Quale significato ha la Scala per il suo Paese?
«Da quando l'opera italiana è diventata un fenomeno così amato, anche in Cina, la Scala rappresenta l'eccellenza assoluta: sia agli occhi dei musicisti sia del pubblico di
appassionati che vengono qui per poter assistere agli spettacoli; ma anche del pubblico meno attento, che è davvero molto attratto dalla città e dal Teatro, e sogna anche soltanto di poterlo visitare, per poter dire io c'ero».
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