«Il mio lavoro? Insegno a ridere»

Matteo Andreone ha quarant’anni e il suo lavoro è insegnare alle persone a ridere. Proprio così, a ridere. Nulla a che vedere con i corsi per clown o per cabarettisti. Le sue sono lezioni mirate a combattere la timidezza e a superare quella cappa di pessimismo in cui spesso ci si trova.
All’accademia del Comico di via Garegnano, in zona Certosa, gli stage di risoterapia non sono frequentati da aspiranti attori, ma da manager che mirano ad essere più spigliati con i propri clienti, da medici che cercano un approccio un po’ diverso con i propri pazienti, dai volontari che operano nel sociale, dagli insegnanti, da chi lavora con i bambini. Da tutti quelli che vogliono imparare a lasciarsi andare.
Non si tratta di una cura per musoni, ma spesso le lezioni servono a trovare un nuovo modo di guardare alla vita, cogliendone gli aspetti più ironici. «Alla fine - spiega Matteo - si scopre che non tutto quello che ci accade è negativo. Ad esempio, una lite con il capo al lavoro normalmente può essere vista come qualcosa di drammatico. Vista da un comico fa ridere. Se ci pensiamo, ogni cabarettista parla di cose negative per esorcizzarle». Certo, non si esce dall’accademia con il diploma di barzellettieri, ma di sicuro si impara a sorridere di più, a vivere con più leggerezza. «Ci si libera dalle ansie e dalle angosce - spiega il maestro di risate -. Magari così non si arriva alla soluzione pratica del problema ma di sicuro si cambia atteggiamento nell’affrontarlo». Insomma: si impara a ridere di se stessi, delle proprie difficoltà, grandi o piccole che siano, secondo una regola precisa: mai prendersi troppo sul serio. Ai corsi si impara a comunicare attraverso il proprio corpo, con la mimica facciale, con la gestualità. «Rafforzando l’ottimismo - si legge nel “manifesto“ dell’accademia - non attraverso artificiose sollecitazioni verbali ma tramite la fantasia e il gioco, stimoliamo il nostro intero organismo ad affrontare difficoltà e avversità». Matteo, responsabile dell’accademia, sostiene che non sia realmente possibile insegnare agli altri ad essere comici: «Tutto è soggettivo - spiega - anche l’espressione della nostra comicità. La risata è accidentale, è una conseguenza del benessere che si prova».
Lui, che di persone ne ha viste eccome transitare nelle sue aule, si è reso conto di una cosa: la gente «ha fame di risate, ha voglia di tornare a ridere». E vede una contraddizione nella vita di Milano: «La città è implosa - sostiene - non riesce a liberarsi dalla cappa di serietà che si è creata. Eppure, il cabaret è nato proprio qui». E risponde a nomi precisi: il Derby, Cochi e Renato, solo per citarne un paio. Tra una risata e l’altra, tra una citazione di Walter Chiari e di Giorgio Gaber, Matteo è perfino inciampato nell’amore.
Ora è fidanzato con Giorgia, conosciuta ai corsi di risate. «Adesso è lei la mia musa ispiratrice» ammette. Come a dire: da una risata possono nascere tante cose, perfino l’amore. Matteo, che non ama particolarmente il cabaret televisivo, preferisce ricordare le pièce teatrali di Bergonzoni, di Tognazzi. Adora Totò e la sua mimica.


E per riassumere cosa significa ridere, si affida a una citazione di Woody Allen che «gira sempre con un bastone a scatto perché quando arriva il pericolo può ballare il tip tap davanti ai malviventi». Ottima arma, una risata.

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