In missione sull’onda delle ambizioni

Gustavo Selva

L'ennesima risoluzione dell'Onu, la 1701, resta ancora gravata da troppe ambiguità e incertezze specialmente su ciò che deve fare o non fare la missione militare dell'Onu per raggiungere la pace. Quando la missione sarà completa l'Italia fornirà un contingente di militari per uno spiegamento di circa tremila uomini. Prodi attribuisce alla missione un significato «storico», e io sarò d'accordo con il premier se e quando saranno raggiunti i risultati che il governo di centrosinistra promette. In pratica: pace fra Libano e Israele, con la garanzia che gli Hezbollah non scateneranno un altro conflitto; disarmo degli Hezbollah, da parte dell'esercito regolare libanese; controllo delle frontiere con il Libano e la Siria, perché non penetri più in territorio israeliano né un solo kamikaze né entri un carico d'armi per rifornire gli hezbollah che per noi sono terroristi, mentre per D'Alema sono metà politici e metà quasi terroristi e per le senatrici di Rifondazione Gagliardi e Menapace sono «come i partigiani».
La missione Leonte ha obiettivi politico-militari molto più ambiziosi. Secondo Prodi e D'Alema il felice esito della missione dovrebbe aprirne una analoga, sempre dell'Onu, per risolvere il conflitto israelo-palestinese e questo sarebbe il risultato più eclatante. Israele non ha mai potuto fare la pace con Arafat quando aveva nel suo statuto la «cacciata degli ebrei in mare». Quando ha abbandonato questo obiettivo ci sono stati gli accordi di Oslo e Camp David, messi fuori causa però dalle Intifade e dagli attentati in Israele. L'elezione del «moderato» Abu Mazen a presidente dell'Anp, è stata seguita dalla vittoria di Hamas, che oggi ha l'occhio puntato sull'Iran di Ahmadinejad.
Ma le ambizioni di Prodi e D'Alema per il contributo «storico» dell'Italia all'assetto dell'intero Medio Oriente non si fermano qui. Vogliono portare l'Italia come sesto componente nella «commissione 5+1» per costringere l'Iran di Ahmadinejad a non dotarsi della bomba H e a non minacciare Israele. Ma proprio giovedì a Roma il viceprimoministro israeliano Simon Peres, ringraziando l’Italia per la sua decisione, ha detto giustamente che il problema dell'Iran, «non è un problema di Israele, ma del mondo intero». Di fronte a questi dati l'unica cosa certa è che tutto può fare la missione militare Leonte, salvo che disarmare gli Hezbollah, è controllare che non arrivino in Libano uomini e armi dall'Iran e dalla Siria. Il ministro della Difesa Parisi ha ripetuto questa settimana a L'Espresso che la missione sarà per i militari che la compongono «lunga, difficile e rischiosa» e anche «doverosa» per la scelta dell'Italia, ma che «il disarmo degli Hezbollah riguarda la politica». E lo ha detto nello stesso giorno in cui al Corriere della Sera il ministro degli Esteri D'Alema assicurava che se «dalla Siria arrivano armi noi non staremo a guardare».


Propongo una domanda per evitare un’ulteriore confusione di idee e di linguaggio nel governo: è forse opportuno che Prodi inverta i ruoli di D'Alema e di Parisi nel governo? Ma sarà soprattutto molto utile che l'opposizione riceva dal governo risposte chiare su cosa devono fare o non fare i nostri militari in una missione «lunga, difficile, rischiosa e costosa», ma anche «doverosa» secondo le definizioni di Parisi.

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