Giulio Regeni non era una spia. I servizi lo ripetono da giorni, da quando cioè si sono diffuse le voci che il giovane ricercatore trovato morto al Cairo fosse in realtà stato inviato dagli 007 in Egitto. Ma ora l'ipotesi viene rilanciata dall'Huffington, secondo cui "proprio nelle quarantotto convulse ore consumate a cavallo del ritrovamento del corpo martoriato di Giulio Regeni, il generale Alberto Manenti, direttore dell’Agenzia per la sicurezza esterna (Aise), si è trovato al Cairo faccia a faccia con i vertici dei servizi segreti egiziani".
Una coincidenza? È possibile che fosse una missione programmata da tempo. Così come è possibile che Manenti sia stato inviato dal governo per fare pressione sulle autorità egiziane nelle ore in cui si iniziava a temere la tragedia. "Sta di fatto che il viaggio di Manenti è avvenuto al termine di una escalation di contatti tra Roma e il Cairo, cominciata con una urgente e ripetuta richiesta di informazioni fatta dal nostro ambasciatore alle autorità egiziane, proseguita con un intervento diretto del ministro degli Esteri Gentiloni al suo omologo, e culminata con un doppio colloquio telefonico tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente al-Sisi", spiega l'Huffington Post, che aggiunge come il ritrovamento del cadavere sia avvenuto proprio nel giorno in cui Manenti avrebbe lasciato il Cairo: "Una tempistica così precisa da autorizzare a ritenere che, chiunque siano stati gli assassini, il governo egiziano fosse venuto in qualche modo a conoscenza di ciò che era accaduto".
Intanto emerge un altro retroscena inquietante.
Seconco l'attivista egiziana Mona Seif, infatti, il detective egiziano assegnato al caso Regeni, Khaled Shalaby, fu condannato nel 2003 per aver torturato, insieme con due colleghi, un uomo fino a farlo morire. L'uomo trascorse un anno in carcere e la sentenza fu sospesa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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