Iniziai gli studi di lingua italiana presso l’Istituto per le Trasmissioni della Radio di Beijing negli anni ‘60 e fu allora che nacquero i miei legami inseparabili con l'Italia. In seguito, dopo l'allacciamento delle relazioni diplomatiche tra la Cina e l'Italia, lavorai in Italia per più di 16 anni e diventai così uno dei testimoni degli sviluppi che ebbero via via i rapporti tra i due Paesi, vivendo tante diverse esperienze interessanti, e potei sperimentare i profondi sentimenti d'amicizia che avvicinano i nostri due popoli.
La maestra benefattrice
Nel mese di settembre del 1960 Radio di Beijing inaugurò una nuova classe di lingua italiana. Era la classe 602, nella Facoltà di lingue straniere, aveva 26 studenti ed ebbi la fortuna di essere uno di loro. La nostra insegnante, Ninetta, era una signora italiana che non voleva la chiamassimo "professoressa" ma "maestra". Era la moglie del signor Mario, un esperto italiano che lavorava alla Radio di Beijing. Tutti e due erano iscritti al Partito Comunista Italiano e avevano partecipato alla Resistenza antifascista durante la Seconda guerra mondiale. Non avevamo nessun libro uciale, ma solo delle dispense ciclostilate. La maestra ci impartiva con molta pazienza le lezioni sull’alfabeto, la pronucia e la grammatica italiana. Abitava all’Hotel dell’Amicizia.
Ogni mattina doveva affrettarsi per arrivare all’Istituto per le Trasmissioni della Radio di Beijing, situato a Zhenwumiao, entrava senza fiato nella nostra aula ed esclamava affettuosamente "ragazzi, buon giorno!" e noi, tutti in piedi, rispondevamo "buon giorno, maestra!". E così ci trovavamo in armonia, e l’insegnamento andava molto bene. Purtroppo questo bene non sarebbe continuato ancora a lungo. Era arrivata la rottura dei rapporti fra la Cina e l’Unione Sovietica e il PCI aveva preso la decisione di appoggiare il PCUS. La nostra maestra e suo marito erano iscritti al PCI e ricevettero l’ordine del Partito di ritirarsi in anticipo da Beijing e fare rientro in Italia. Ci trovavamo nel terzo trimestre del 1961 e nell’ultima lezione la maestra terminò in modo molto frettoloso l’insegnamento della grammatica italiana.
Prima della partenza da Beijing, la maestra e suo marito Mario invitarono tutti noi studenti della classe 602 a casa loro, presso l’Hotel dell’Amicizia. Noi studenti cinesi e la maestra eravamo legati da grande affetto e non volevamo separarci. Scattammo una foto che divenne un ricordo per sempre: la maestra aveva preparato un ventaglio cinese di carta sul quale fece firmare tutti noi studenti della classe 602, per ricordo. Passarono più di 10 anni, e nel 1972 la maestra e io ci incontrammo di nuovo al ricevimento dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma per la celebrazione della Festa nazionale cinese.
Le medaglie per la Resistenza antifascista che lei indossava sul petto attiravano l’attenzione, e noi ci demmo un caldo abbraccio che testimoniava tutto l’affetto tra la maestra e i suoi studenti. Trascorsero poi altri 10 anni circa, e nel 1982 io e Li Yucheng, compagno della classe 602, andammo a visitare la maestra a casa sua, e lei tenendo in mano quel ventaglio che aveva fatto firmare a tutti noi studenti della classe 602 prima della sua partenza da Beijing, pronunciò i nomi sopra scritti, facendo l’appello a uno a uno... Indimenticabile maestra, nostra benefattrice!
Il presidente richiede una visita in Cina
Nel mese di aprile del 1979, la delegazione del Sindacato cinese capeggiata da Wang Jiachong visitò l’Italia su invito della UIL e il 26 aprile l’allora Presidente Sandro Pertini vide la delegazione: di quell’incontro ebbi il piacere di fare da interprete. Il Presidente Pertini disse con simpatia di aver prestato grande attenzione alla Grande Marcia dell’Armata Rossa Cinese già dagli anni della lotta antifascista. Disse di aver già avanzato all’Ambasciatore cinese la richiesta di fare una visita in Cina, e di sperare di poterla realizzare il prima possibile.
Nel 1980 il Presidente Pertini realizzò il suo desiderio di una visita su invito in Cina, allora aveva l’età avanzata di 84 anni, ma era vigoroso... e voleva salire sulla Grande Muraglia a Beijing. Quando aveva già raggiunto una certa altezza, chiese all’accompagnatore: "Quanto sono arrivati in alto gli altri Capi di Stato? Voglio salire ancora piu in alto e superare quel punto". La voce e i sorrisi dell’anziano Presidente Pertini mi lasciarono un’impressione profonda e incancellabile.
I rapporti con la Cina assolutamente prioritari
Nel mese di maggio del 1996, Romano Prodi, di professione professore, divenne il Primo Ministro del 53mo governo della Repubblica Italiana, costituendo il primo governo di centro-sinistra incentrato su forze di sinistra della tradizione italiana. Disse Prodi l’anno successivo: "Come avevamo previsto, all’inizio fu tutto difficile, bisognava pagare i debiti accumulati da lungo tempo, e l’elaborazione di una politica forte verso l’Europa incontrò l’opposizione dell’opinione pubblica". Nel corso dell’anno, il governo Prodi prese per tre volte misure economiche e finanziarie forti, che incontrarono una decisa opposizione in Parlamento, e tuttavia Prodi le fece approvare attraverso i voti di fiducia.
Allora ero corrispondente in Italia per il Quotidiano del Popolo e chiesi di intervistare il Primo Ministro sui rapporti italo-cinesi e altre questioni, alla vigilia dell’arrivo del Primo Ministro Li Peng per il vertice mondiale sull’alimentazione e la sua visita in Italia. Proprio nei giorni in cui il Governo italiano si preparava al confronto con il Parlamento, Prodi accettò con piacere la mia intervista esclusiva, che fu nel pomeriggio dell’8 novembre 1996, all’ufficio del Primo Ministro. Prodi raccontò che "i rapporti fra i due Paesi, Italia e Cina, sono molto buoni e in continuo e crescente sviluppo" e sottolineò che "l’Italia riconosce ai rapporti con la Cina un posto assolutamente prioritario, perchè lo sviluppo della relazione con la Cina riveste un significato importante per il futuro". Espresse la volontà di visitare ancora la Cina, "l’ho visitata diverse volte, ma è da tempo che non ci torno, dovrò andarci ancora!". Durante l’intervista, Prodi ricevette numerose telefonate sulle tensioni del dibattito parlamentare, e anche una telefonata dal presidente francese. Dopo circa mezz'ora da quando la nostra conversazione era iniziata, ricevette un'altra chiamata urgente dalla Camera e stavolta, chiuso il telefono, mi disse: "Mi dispiace molto, dobbiamo terminare qui l'intervista". Ma per me fu indimenticabile.
La simpatia verso la Cina del vecchio senatore
Nell'estate del 1978 il senatore italiano Giulio Orlando e la sua signora visitarono la Cina su invito dell'Associazione cinese dell'amicizia con l'estero. Durante la loro permanenza di due giorni a Lhasa feci loro da accompagnatore e interprete, nacque il nostro legame e da allora fummo buoni amici. Nell'estate del 2000, durante un tour in Italia, la delegazione dei giornalisti del programma “Viaggi in Europa” della televisione cinese Phoenix sperava di intervistare Orlando, allora presidente dell'Associazione Italia-Asia. In quel periodo lui e la consorte trascorrevano le vacanze nella loro villa a Porto San Giorgio, spiaggia turistica ad est degli Appennini, sul Mar Adriatico.
Telefonai al Presidente Orlando e lui fu simpaticamente d'accordo di concedersi a Phoenix TV, per incontrare i giornalisti lì, dove stava trascorrendo le ferie. La mattina del 16 agosto, quattro monovolumi Volkswagen partiti da Roma con a bordo una delegazione cinese di dodici giornalisti stavano correndo velocemente sulla A24 lungo gli Appennini per poi immettersi a est sulla A14 in direzione nord, direzione la spiaggia. Dopo un percorso di circa 300 km, all’una e trenta del pomeriggio raggiungemmo il luogo dell’appuntamento, l’uscita autostradale Porto San Giorgio. Il senatore ci aspettava già lì, guidava da lui stesso la sua autovettura, e condusse immediatamente il convoglio di monovolumi all’interno del Porto.
Ci invitò cordialmente a pranzo in un ottimo ristorante di pesce. Godemmo di specialità locali come gli spaghetti ai frutti di mare misti, scampi e pesci arrostiti, e ancora buoni gelati e caffè espresso italiani. Insistemmo di voler pagare il conto, ma lui era deciso ad ospitarci in qualità di padrone di casa! Nato nel 1924, Giulio Orlando fu senatore per diciotto anni dalla sua elezione nel 1974, fino al 1991, è stato membro della Commissione Esteri del Senato, Ministro del Commercio Estero e Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, e al tempo dell’intervista era Presidente dell’Associazione Italia-Asia. Finito il pranzo, sempre alla guida della sua auto, Orlando guidò il nostro convoglio fino alla spiaggia, il vivace luogo delle sue vacanze fu scelto come location per svolgere l'intervista. Sulla spiaggia adriatica in piena estate, con il vento frizzantino e le grandi ondate nel mare, ci sentivamo felici e contenti, mentre il senatore raccontava la sua profonda simpatia verso la Cina... Dal 1969 fino all'anno di quell'intervista Orlando aveva effettuato 15 visite in Cina.
Nel 1969, l'Italia e la Repubblica Popolare Cinese non avevano ancora allacciato relazioni diplomatiche. Orlando, al tempo senatore nelle fila della Democrazia Cristiana italiana, aveva pronunciato un discorso per chiedere all'Italia di riconoscere la Repubblica Popolare Cinese, e per questo motivo l'allora rappresentante di Taiwan aveva avanzato proteste al governo italiano. Fu allora che il governo cinese, tramite il proprio ambasciatore in Francia, inviò al senatore Orlando do l’invito a visitare la Cina nel dicembre del 1969. Orlando diede contributi importanti nel condurre l’Italia verso la rottura delle relazioni diplomatiche con Taiwan e l’allacciamento di quelle con la Repubblica Popolare Cinese. In quell’intervista il Presidente Orlando ricordò con piacere i suoi svariati incontri con i tanti dirigenti cinesi e alla fine del colloquio ci disse: "La Cina è la mia seconda patria, vi prego di salutare a nome mio il popolo cinese!".
Dario Fo disegna il drago cinese
La prima Biennale dell’Arte Emergente di Torino inaugurata il 17 aprile 2000 volle la Cina come "Paese ospite d’onore". 54 artisti cinesi giunsero a Torino per partecipare alle attività di scambio artistico, e in quella occasione l’Accademia centrale di teatro sperimentale di Pechino mise in scena la commedia "Morte accidentale di un anarchico", opera del Premio Nobel per la letteratura Dario Fo; anche Fo e Franca Rame arrivarono a Torino per assistere di persona alla rappresentazione. Ricevetti l’invito a fare delle interviste per la Biennale di Torino, e chiesi in anticipo di poterne fare una speciale a Dario Fo. La sera del 7 aprile Fo e signora giunsero a Torino da Milano, e ci ritrovammo nello stesso albergo, il Gran Hotel Sitea.
Alle 2 del pomeriggio dell’8 aprile, Dario Fo doveva tenere una conferenza stampa in un salotto al pianterreno dell’albergo, ma purtroppo, proprio quel giorno, ci fu uno sciopero dei giornalisti italiani. Così alla conferenza stampa eravamo solamente un giornalista dell’edizione digitale di Repubblica, 2 giornalisti della Televisione di Slovenia ed io. Dario Fo e Franca Rame furono puntuali nel ragiungere la sala della conferenza, e saputo dello sciopero Fo disse: "Non vengono loro, scriviamo noi!" I temi sollevati nella conferenza stampa riguardarono principalmente la Cina, e così quell’incontro divenne quasi unicamente mia intervista speciale. Fo iniziò: "Sono venuto con gran piacere per assistere alla rappresentazione degli artisti cinesi. Ho saputo da un giornale cinese che Morte accidentale di un anarchico è stata già tradotta in cinese e che il traduttore ha visitato l’Italia. In molti paesi sono stati aggiunti nella sceneggiatura fatti del proprio paese, non so come sia andata in Cina. So però che in Cina c’è stata la rappresentazione di quest’opera, ho visto delle foto di teatro, e mi chiedevo quale lingua abbiano usato. Sono curioso di vedere come rappresenteranno il mio teatro".
Una studiosa presente in sala rispose a Fo che in Cina la rappresentazione era stata abbastanza fedele all’originale. Fo e Franca Rame avevano partecipato in gruppo ad una visita guidata in Cina, ed erano andati tra l’altro a Beijing e Shanghai. Ricordarono le sensazioni positive lasciategli dalla Cina. "In passato avevo studiato l’opera classica" raccontò Fo,"e durante la permanenza in Cina ho assistito all'Opera di Beijing: la bellezza artistica di quest'Opera era incredibile. Ci hanno organizzato allora specificatamente un incontro con gli attori dell'opera di Beijing ed abbiamo incontrato anche alcuni di loro che erano fanciulli; abbiamo cantato insieme, ma... noi eravamo stonati. A Shanghai abbiamo assistito all'opera teatrale La Biografia di A. Q. La rappresentazione era realizzata in dialetto di Shanghai e il nostro interprete non lo capiva. Vedevamo nel teatro ridere prima il pubblico, poi l'interprete, e per ultimi noi. Ed è stato esilarante! Nelle rappresentazioni teatrali cinesi gli attori tengono spesso in mano un ventaglio, e anche questo è un linguaggio, la lingua del ventaglio. La vedere la Cina mi ha regalato tanta ispirazione, e tornato in Italia ho scritto dieci nuove opere teatrali".
Dario Fo confessò di essere molto impegnato prima della consegna del Premio Nobel, e di esserlo diventato ancora più dopo averlo ricevuto. È stato invitato quattro o cinque volte a visitare la Cina, ma non ha potuto accettare. "Voglio rivederla ancora", disse, "spero di non restare deluso!". Su mia richiesta Dario Fo disegnò con gioia, "Il giullare", con su scritto "Alla Cina con grande affetto". E disegnò anche un drago cinese. Quella sera Dario Fo e Franca Rame assistettero con vera gioia nel Teatro Yuvara alla rappresentazione di Morte accidentale di un anarchico realizzata dal Teatro Sperimentale Centrale di Beijing.
Al termine della rappresentazione, Dario e Franca salirono sul palco, offrendo calde strette di mano e abbracci agli attori, e congratulandosi per il successo.Luo Jinbiao è giornalista, in 16 anni di presenza in Italia ha ricevuto più volte il premio per i giornalisti stranieri e dal 2002 è Cavaliere della Repubblica italiana
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