Nathan non deve dire una parola o sua figlia Jessica sarà uccisa

Da oggi in edicola con «il Giornale» a 5,90 euro il thriller di Andrew Klavan: uno psichiatra lotta contro il tempo per risolvere un enigma e salvare la famiglia

Carlo Faricciotti

Andrew Klavan, che Stephen King ha definito «l’autore americano di thriller più originale dai tempi di Cornell Woolrich», pubblicò il suo primo libro, Face of the Earth, all’inizio degli anni Settanta, quando era giornalista nel giornale della contea di Putnam, nello Stato di New York. Dopo l’uscita di quel libro Klavan lasciò il giornale per diventare «il primo scrittore disoccupato senza soldi», secondo l’autoironica definizione che compare nella sezione autobiografica del suo sito internet personale (www.andrewklavan.com).
Una situazione da cui uscì, dopo essere rimasto folgorato dalla lettura del maestro vittoriano del mistery, Wilkie Collins («Quando lessi La donna in bianco pensai: ecco, si può scrivere un thriller che funziona esattamente come un romanzo. Con quest’idea, mi misi a tavolino per tentare di confezionare la versione americana del romanzo vittoriano, più veloce, lineare, più idiomatico, ma come il modello ricco di significati e intuizioni. Un aspirante suicida abbastanza arrogante e audace, a ripensarci, ma visto che sono ancora qui...»), grazie al successo di titoli come L’ora delle bestie, Il tranello, Non dire una parola - in edicola da oggi con il Giornale a 5,90 euro più il costo del quotidiano, ultimo titolo della collana «Grandi libri per grandi film» - e altri ancora.
Un successo sancito anche dal cinema: se Non dire una parola venne portato sullo schermo nel 2001 da Gary Fleder (il film in Italia venne distribuito con il titolo originale di libro e pellicola: Don’t say a word) e se la trasposizione cinematografica di Fino a prova contraria (True Crime, 1999) reca la firma di Clint Eastwood, Come far carriera... molto disonestamente (1990), con Michael Caine, è stato sceneggiato dallo stesso Klavan a partire da un romanzo di Simon Brett.
Il titolo di questo thriller ha in realtà una doppia valenza: «Zitta, piccina, non dire una parola, corri veloce sotto le lenzuola e il sonno lemme lemme arriverà» è la filastrocca che il protagonista, lo psichiatra Nathan Conrad, intona la sera per sua figlia, la piccola Jessica. Ma il silenzio è anche quello in cui si rinserra una delle pazienti di Conrad, Elizabeth Burrows, diciotto anni. Elizabeth, secondo la descrizione di un altro psichiatra, «è entrata e uscita dalle case di cura fin da quando aveva dieci anni. Dentro e fuori, è stata coinvolta in episodi di violenza. La polizia l’ha arrestata due volte per aggressione e percosse».
La ragazza accusa delle violenze, spesso omicide, un’altra entità, l’Amico Segreto «Non una seconda personalità, piuttosto una voce, un’allucinazione audio-compulsiva che le ordina di fare certe cose, ma che ha anche una qualche specie di componente visiva. Qualunque cosa sia, è certo che la mette in grande agitazione. Diventa selvaggia e ha una forza incredibile. È decisamente capace di azioni violente e brutali».
Tuttavia, come Conrad scopre a sue spese, Elizabeth è anche la depositaria di un segreto: quando un gruppo di malviventi gli sequestra Jessica, Nathan scopre che per riavere la figlia dovrà fare alla sua paziente una semplice, fondamentale domanda: «Qual è il numero, Elizabeth?».
Inutile dire che con questo libro Klanvan si conferma «il rigoroso e crudele narratore che non ha bisogno di alcun padrino per trovare lettori alle sue storie dure e perfette», secondo la definizione dell’Indice.
D’altra parte Klavan non scrive thriller (solo) per fare soldi: «dall’inizio della mia carriera ho voluto impadronirmi del genere e usarlo per esplorare temi più profondi, ma non in quelle maniere orribili di scrittura amate dai critici. Ho sempre voluto che i miei libri suonassero all’inizio come dei thriller, pieni di suspense strizzanervi, ma per poi puntare sulle questioni che mi intrigano.

Nei miei romanzi mi identifico con i protagonisti, uomini e donne, ma posso vedere i loro errori, le loro debolezze e le cose che loro non possono intuire di se stessi. Io non sono nessuno di loro e nello stesso tempo io sono tutti loro».

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