La Nato: «Pace in Afghanistan entro il 2009»

Attacco di Putin agli Stati Uniti: «Riaprono la corsa agli armamenti e rilanciano la guerra fredda»

La Nato: «Pace in Afghanistan entro il 2009»

da Berlino

Secondo il segretario generale della Nato, l'olandese Jaap de Hoop Scheffer, gli sforzi militari e politici per riportare pace e normalità in Afghanistan produrranno presto i primi frutti. Reduce da un recente viaggio a Kabul, Scheffer è intervenuto alla Conferenza sulla sicurezza internazionale di Monaco, un incontro informale sui grandi temi di politica estera che si svolge ogni anno nella capitale bavarese, e gran parte del suo intervento è stato dedicato alla crisi afghana. «Entro il 2009 - ha detto - la guerriglia dei talebani, che attualmente si concentra prevalentemente nel sud del Paese, dovrebbe essere definitivamente sconfitta e il governo del presidente Hamid Karzai dovrebbe estendere progressivamente il suo controllo su tutto il territorio con l'aiuto delle truppe dell'Alleanza atlantica».
Insomma, il numero uno della Nato ritiene che ci siano buoni motivi per guardare con fiducia al futuro della missione in Afghanistan. Ma a una condizione. Alla condizione, cioè, che i Paesi dell'Alleanza non riducano il loro impegno per risolvere la crisi. «La sfida lanciata dai talebani è una minaccia che riguarda tutti», ha ricordato. «Deve e può essere vinta, ma per raggiungere l'obbiettivo è fondamentale che ciascuno faccia la sua parte e sia consapevole che eventuali esitazioni contribuiranno solo a ridare slancio a chi non vuole che la pace e la normalità ritornino in Afghanistan».
Indirettamente un monito a quei governi e a quei partiti che pensano che la crisi possa essere risolta con un disimpegno militare sottovalutandone le conseguenze a catena: caduta del governo Karzai, uscito da libere elezioni, ritorno dei talebani e quindi di un Afghanistan di nuovo santuario dell'estremismo islamico. Sulla stessa linea e in maniera più esplicita è intervenuto a Monaco anche il senatore americano John McCaine, una voce che conta a Washington perché è considerato il personaggio che ha le maggiori probabilità di guidare i repubblicani nella corsa alla Casa Bianca dopo la la fine del mandato di Gorge W. Bush.
McCaine ha criticato i partner europei della Nato «per non aver messo a disposizione in maniera completa gli uomini e i mezzi promessi nella fase iniziale della missione afghana». Secondo il senatore americano, alcuni partner europei sottovalutano che a Kabul è in gioco non solo il futuro della Nato come organizzazione capace di intervenire nelle aree di crisi ma la sicurezza stessa del Vecchio Continente. Senza troppi giri di parole il senatore americano ha chiamato in causa due Paesi, la Germania e l'Italia, invitandoli a un maggiore sforzo per mantenere gli impegni che si sono assunti per l'ammodernamento dello Stato afghano: i tedeschi per la formazione delle forze di polizia, gli italiani per la creazione dell'apparato giudiziario.
Un'accusa non condivisa dalla cancelliera Angela Merkel, che ha ricordato che proprio negli ultimi giorni Berlino ha aumen- tato il suo impegno militare mettendo a disposizione sei aerei Tornado che saranno impiegati in voli di ricognizione. Anche per la Merkel la presenza militare è irrinunciabile, ma nel suo intervento ha lanciato una proposta per accompagnare l'impegno militare con strategie politiche concordate tra le grandi potenze e gli organismi internazionali. «Nessun Paese, nessuna potenza, nessun organismo internazionale ha il potere, il denaro e l'influenza per risolvere le grandi crisi internazionali, dall'Afghanistan all'Iran, dall'Irak al conflitto israelo-palestinese. È giunto il momento - ha detto la Merkel - di prendere atto di questa realtà e di imboccare una strada che non sia più quella solo delle iniziative unilaterali. Sono convinta che sia possibile poiché gli interessi comuni tra le grandi potenze sono superiori alle loro rivalità».
Una proposta suggestiva quella del capo del governo tedesco, ma in netto contrasto con l'oratore che ha preso la parola subito dopo, il presidente russo Vladimir Putin, che ha accusato gli Stati Uniti di riaprire la corsa agli armamenti con la decisione di installare un sistema missilistico nella Repubblica ceca.

«Lo scopo degli americani - ha affermato Putin - non è quello dichiarato di difendere l'Europa da eventuali attacchi nucleari dell'Iran ma di tenere sotto controllo la Russia ricreando così un clima da guerra fredda». Un'accusa respinta dal portavoce di Bush, Gordon Johndroe, che ha espresso «sorpresa e delusione» per le parole di Putin. Una brutta partenza per chi auspica strategie concordate tra le grandi potenze.

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